sabato 7 novembre 2015

I PRETI DI STRADA E LA PASTORALE DELLA SEDUZIONE: L'ATTACCO DEL 31 OTTOBRE 2015

I PRETI DI STRADA....


Papa Bergoglio continua a stupire la cristianità non solo per i suoi decisi interventi in materia di dottrina e morale cristiana (lo si è visto, prima e durante le giornate dell’ultimo sinodo dei vescovi, schierarsi decisamente a favore della comunione ai divorziati risposati), ma anche per i suoi gesti controcorrente (dalla nomina di mons. Galantino, ultimo della lista dei candidati alla segreteria della CEI, alla recente elezione a vescovo di Palermo di don Corrado Lorefice, “parroco di strada”, della diocesi di Noto e a quella di Bologna di mons. Zuppi, della comunità di sant’Egidio a Roma). Un nuovo e inedito sistema di selezione della “classe dirigente” della chiesa cattolica, che stenta a penetrare episcopati tradizionalisti e paciosi come quello pugliese, tanto per fare un esempio: siamo al decimo vescovo scelto tra i sussiegosi rettori del seminario regionale di Molfetta o tra i suoi professori, e non si contano neanche più, visto il numero rilevante, gli ex vicari generali, in pectore il nostro compreso. Forse hanno ragione in Puglia, anche perché di “preti di strada” da noi non è che si riesce a contarne molti, e se ci sono, come vedremo, sono da cercare più tra i religiosi e qualche prete isolato e in discredito, come si conviene in questi casi. Per capire chi sono i “preti di strada”, bisogna farsi aiutare da wikipedia: sono ”presbiteri, normalmente cattolici, che esercitano il loro ministero pastorale a diretto contatto con la strada, intesa come terra di missione”. Gli esempi più classici sono addirittura San Filippo Neri e don Giovanni Bosco. Ma non meno famosi sono i vari don Andrea Gallo di Genova e il comboniano Alex Zanottelli, don Oreste Benzi e lo stesso Don Puglisi, ucciso dalla mafia nel ’93, e don Ciotti da tempo sotto scorta. “Preti di strada”, vuol anche dire, troppo spesso (ahimè), preti non organici a programmi pastorali, di quelli solo sulla carta, senza seria programmazione e mai un briciolo di verifica, che molte diocesi sfornano a cicli continui e forzati per inerzia. “Preti di strada” in questi casi vuole anche dire essere fuori dai paludati palazzi del potere clericale, curie e organismi di varia e spesso pilotata partecipazione. Sono fuori, in molti casi, anche da parrocchie e parrocchiette delle nostre città, troppo spesso chiuse in se stesse e autoreferenziali, tutte preghiere e devozioni popolari, novene e pellegrinaggi a Medjugorie. Sono i preti che, finita la mesa e toltosi in molti casi, non solo gli abiti liturgici, ma anche la lunga e femminile tonaca nera, retaggio ottocentesco difficile a morire, e toltosi anche quel collettino bianco, la cui provenienza nessuno della chiesa sa spiegare, su rigorosa camicia e pantalone nero, mentre i più giovani lo mescolano a blue jeans, semmai un tantino scoloriti, come moda impone, ed escono semplicemente per strada, laddove è la missione del cristianesimo, per impegnarsi nei vari campi dell’emarginazione: dal carcere alla cooperazione e allo sviluppo, dal sostegno ai tossicodipendenti, a dipendenze varie, disabilità, orfani, minori abbandonati, prostituzione (tratta, violenza, sfruttamento), migranti. In molti casi i preti di strada hanno fondato gruppi, associazioni o comunità nei quali si è dato ampio spazio al laicato (sempre fonte wikipedia). Ce ne sono dalle nostre parti? O anche in questo siamo il fanalino di coda in Italia? A dire il vero noi, a Foggia, possiamo vantare la comunità di Emmaus, merito loro, sempre avversata dalla curia locale e preti benpensanti. Opera dello scomparso don Michele e tutti gli altri che in questi anni l’hanno accompagnato sostenuto. L’eredità l’ha presa un certo don Vito, sempre salesiano. Ci sono i padri Scalabriniani della diocesi di Manfredonia, in prima fila per l’accoglienza degli extracomunitari, lavoratori stagionali, schiavi del ventunesimo secolo, sotto padroni spesso cristiani e cattolici, e che nessuno o quasi protegge. Ci sono i preti di Libera a Cerignola, don Pasquale Cotugno e a Lucera, don Ciro Miele. E l’elenco a memoria finisce qui. Ce ne saranno anche altri, non citati per mia personale ignoranza, ma ciò che li accompagna è l’assordante silenzio delle istituzioni diocesane. Certo vanno capiti i pretini delle nostre diocesi, che si sentono rivoluzionari, per il solo fatto che rispetto agli anni passati, ormai tutti procedono con programmazioni in ogni settore della vita pastorale. Per noi è una terribile illusione organicistica. A guardare l’organigramma della diocesi di Foggia, tutto o quasi rigorosamente e saldamente in mano al clero, non si può che restare meravigliati. Non manca proprio niente. Leggo dall’ultimo numero di Vita Ecclesiale, solo i titoli: “organismi di curia”, “enti e organismi diocesani”, “settori e coordinamento dei vicari”, “organismi complementari”, “Vicario generale”, “Moderatore di Curia”, “Vicari episcopali di settore”, “settori pastorali”, “Ufficio catechistico”, “ufficio liturgico”, “ufficio per la pietà popolare e i pellegrinaggi”, uffici per gli “stati di vita”, sezione caritas, e ufficio amministrativo e mi fermo qui, sempre con la paura di annoiare il povero lettore, che si sarà perso nei meandri della curia, che forse non ha neanche tutte le stanze disponibili per tanta faraonica e inutile organizzazione, sempre più modellata su follie organicistiche e spendaccione di una CEI nazionale (tanto c’è l’otto per mille che foraggia). Insomma per una diocesi che conta cinquantacinque parrocchie sì e no, e un centinaio di preti diocesani, dei quali l’ottanta per centro oltre i sessantanni, e qualche decina di preti religiosi, molta forza si spreca per organismi sulla carta. Molti di quei preti impegnati in curia, a cominciare dal vicario generale l’intramontabile e coriaceo mons. Filippo Tardio, sono anche parroci, per non contare il parossismo di essere al tempo stesso incaricati su più uffici, come l’annuario diocesano tristemente nota. Meglio stendere un velo pietoso a tanta baldanzosa organizzazione, e guardare con simpatia a questi “preti di strada”, spesso neanche nominati in questi faraonici organigrammi diocesani e neppure coordinandosi con essi, che testimoniano la carità per il prossimo, che “sola”, e va ribadita, “sola”, può dare la salvezza e giustificare il senso della presenza nel mondo di una religione, come quella cristiana. Verrebbe da dire: “meno male che ci sono loro”. Purtroppo anche noi come lo sconsolato Abramo non siamo riusciti a raccoglierne nemmeno cinque nella nostra diocesi e ci siamo fermati a uno solo: i bravi ragazzi di Emmaus. In provincia qualcosa pur si muove. Dobbiamo e possiamo non solo consolarci ma prendere anche respiro e rinnovata fiducia quando lo straordinario papa Bergoglio ci sorprende e fa vescovo di Bologna mons. Zuppi, al posto dello spento e tradizionalista (in tutti i sensi) mons. Caffarra, e vescovo di Palermo don Lorefice, appunto un prete di strada, amico di don Puglisi e don Ciotti. Se a questi nomi si associano i neo cardinali, non più legati alla residenza cardinalizia, come Gualtiero Bassetti (Perugia), Edoardo Menichelli (Ancona) o Francesco Montenegro (Agrigento), allora si è difronte non più a casi isolati ma a una teoria. Lunga vita a Bergolio che non succeda, che morto lui si torna indietro, come troppo spesso avviene nelle nostre scombinate chiese cattoliche. 





LA PASTORALE DELLA SEDUZIONE


Dice il vangelo “Guardate che nessuno vi seduca”(Mc 13,5). E’ un monito del Signore, che evidentemente pur conoscendo l’altro detto dell’Antico Testamento “Mi hai sedotto Signore e mi sono lasciato sedurre” (Ger 20,7), intende mettere in guardia i cristiani dall’usare la seduzione come metodo pastorale. E’ una tentazione come le tante che la chiesa attraversa quasi ogni giorno. Basta osservare da vicino le cosiddette pastorali messe in atto dai preti, catechisti e collaboratori, fino a non molto tempo fa. Si va dalla “pastorale della paura”, molto utilizzata durante la mia infanzia: “se non fai così”, tuonavano i preti dall’altare o nei confessionili, “andrai certamente all’inferno”. “Il Signore ti punirà", facevano eco i catechisti, "se non obbedisci ai suoi comandamenti e alle leggi della chiesa, mentre se li metti in pratica, andrai certamente in paradiso”. Per poi passare alla “pastorale dell’evento”. E sono gli incontri oceanici a piazza san Pietro, le varie giornate mondiali della gioventù, i raduni spesso multicolori e con milioni di persone nelle varie visite papali, ai cinque continenti, "ricopiati" e pedissequamente "riproposti" da tanti vescovi locali, in piccole e grandi diocesi che siano: una prova di forza che neanche le tradizionali processioni riuscivano a dare sul territorio. Nulla da dire su queste attività pastorali, che diventano problema quando si vive solo in funzione di esse, o diventano di fatto l’unica attività pastorale per una diocesi. Ma la peggiore di tutte è proprio la “pastorale della seduzione”. Mal interpretando il passo biblico, s’intende "affascinare", se non “forzare”o “manipolare” l’uditorio, con strumenti che non puntano sui contenuti o sulla formazione e sua maturazione, ma sulla teatralità, spesso forzata per "emozionare", che va da una voce suadente, spesso ammiccante, al capello giovanilistico, spinto all’indietro, anche se ingrigito dall’età, e relativo sorriso ammaliante, pacche sulle spalle e "via di nuovo verso il vento". E’ la pastorale dell’entusiasmo, spesso poggiata sulla personalità del prete o del “catechista” che la impersona. Si tende a suscitare emozioni più che a spingere l’uditorio all’azione di servizio e di carità. Su quest’onda si capisce, forse, l’ascesa di un Mucciarone o Roberto Pezzano, e il declassamento di un mons. Trotta e un mons. Identi. Motivo? Avranno esaurito la loro portata di entusiasmo e di seduzione. Questi emergenti invece saranno più capaci di “attirare gente”. Quando si muove certa pastorale giovanile, o giovanilistica come diciamo noi, le chiese e le piazze si riempiono, alta à la partecipazione come pure il senso di soddisfazione. Il dubbio è lecito. E’ il monito antiseduzione del vangelo di Marco (il più diretto e “rozzo” dei quattro evangelisti): “Guardate che nessuno vi seduca”. Marco sembra voler dire, in coerenza con l’Antico Testamento, che è “Dio che deve sedurre”, e quindi “ che è Gesù Cristo che ha questo potere”, nessuno può prenderne il posto. Sarà triste per alcuni: ma al bene nessuno può essere forzato. L’entusiasmo da solo (come la fede senza le opere) non funziona non porta alla salvezza. Dopo gli incontri i giovani ritornano a casa, forse anche più contenti e felici, ma la città avrà fatto spallucce e continuerà a sprofondare nei suoi problemi. Più che la seduzione o la pastorale dell’entusiasmo ne andrebbe impostata un’altra, quella che opera sulla formazione (lenta e in progress) e che ha come esito il servizio e "la carità per la salvezza del mondo”, come ci ha detto chiaramente il Concilio Vaticano II, avendo sempre il mondo, come concreto punto di riferimento e di verifica. Lo abbiamo già notato: sono ben otto gli uffici per l’evangelizzazione, e solo due, se si esclude la Caritas diocesana, quelli riservati al servizio di carità. La cosa andrebbe semplicemente invertita. Si dice che la lingua batte dove il dente duole. E a vedere le attività di questa diocesi, è evidente che la lingua batta su un datato giovanilismo. “Ognuno si droga come vuole” disse una volta mons. Tonini. E noi lo ripetiamo. Ognuno segua il metodo pastorale in cui crede di più o gli è più congeniale, che sia ancora quello della paura, largamente utilizzato nell'iniziazione cristiana o quella dell'evento giovanilistico, che spesso si va a sostituire o a supplire un inconsistente cammino parrocchiale o una vita piuttosto chiusa in se stessa delle varie associazioni, ma guai a farsi prendere la mano dalla pastorale della seduzione dagli esisti disastrosi, in ogni caso. A noi, osservatori disincantati e forse anche un po' avanti negli anni (e se si vuole "sperimentati") si lasci almeno il dubbio o il timore che quando il primo povero sbatterà in faccia a questi giovani entusiasti e osannanti, il proprio bisogno o il disappunto per una carità, pelosa e di facciata o anche solo inefficace, l’entusiasmo non lasci il posto alla delusione e il giovane non si scoraggi o si ritrovi con l'amaro in bocca.



Una precisazione: don Tonino Intiso si è giustamente lamentato che tra i preti di strada di Foggia non abbia fatto il suo nome
Una mancanza che non ci costerà fatica recuperare quanto prima.
Si pensava a preti di strada ancora all'opera....meno a quelli che in passato come lui si sono distinti per impegno e disponibilità verso il territorio e attualmente come nella migliore tradizione foggiana posto nel dimenticatoio e in quiescenza.
Ripeto una mancanza facile da colmare.

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