sabato 7 novembre 2015

UNA CURIA CHE HA SEMPRE VISSUTO A PROPRIA INSAPUTA: L'ATTACCO DEL 17 OTTOBRE 2015

LE RESPONSABILITA' DELLA CURIA FOGGIANA: IL PELVI PENSIERO
DA L'ATTACCO DEL 17 OTTOBRE 2015

l'articolo he vi mancava....scrocconi
il Pelvi pensiero: colpevoli i vescovi, scusati i lecchini, e ve li rimetto in gioco
Il carattere schietto e diretto di mons. Pelvi è certamente una novità per questa nostra diocesi, abituata fin dai tempi di mons. De Giorgi a un sussiego di modi e di parole, da barocco leccese, che proprio non ci appartiene. Dirette sono pure le sue sparate a zero verso chi l’ha preceduto: “in questa diocesi tutto l’otto per mille va per pagare i debiti contratti da mons. Casale e mons. Tamburrino”; “la diocesi di Bovino è totalmente in mano ai religiosi e dei suoi beni patrimoniali poco o nulla è rimasto”; “la scuola di teologia è un peso economico e di personale docente non più sopportabile dalla nostra diocesi”; “non riesco a capire come sia stato possibile affidare a due gruppi ecclesiali per i prossimi ventanni la chiesa della Mercede e il centro giovanile di via Napoli in Foggia”; “le cause perse con i dipendenti del liceo sacro Cuore stanno ancora di più affondando economicamente la nostra diocesi, e non si capisce chi le abbia posto in essere e peché”;; “ho dovuto chiudere il liceo sacro Cuore perché gli studenti si erano ridotti a 27, di cui otto seminaristi, tra l’altro di sola scuola media e qualcuno della superiore”; “stessa sorte, sembra dire, presto toccherà al seminario: un immenso stabile ad uso di solo otto ragazzi, tre preti e personale di pulizia e di cucina: un buco nero dal punto di vista economico”; “non si capisce come si sia potuto far costruire la nuova sede della scuola di teologia così lontana dalla città, senza tra l’altro definire chiaramente chi ne fosse il proprietario o il beneficiario; “l’idea di una scuola di teologia orientata a produrre solo professori di religione oggi sembra essersi esaurita, sia per il numero di docenti prodotti e sia per la scarsa incidenza che essa ha sul territorio diocesano, che ha ben altre priorità pastorali”. E la litania potrebbe continuare per molto tempo ancora, se non si avesse paura di annoiare il lettore. Quello che sorprende in mons. Pelvi, non è tanto la lucidità delle sue analisi e la sua franchezza nello spifferarlo ai quattro venti: grazie a Dio uno che le cose non le manda a dire, ma il suo “dire e non dire”. Chiara pare l’accusa rivolta ai vescovi che l’hanno preceduto: “hanno lasciato un mare di debiti”, meno chiara e meno esplicita l'assunzione di responsabilità di chi, come ad esempio mons. Filippo Tardio, vicario generale per quasi tutti gli anni di mons. Tamburrino, e dell'intero consiglio episcopale, che quelle cose hanno lasciato fare. Ormai la manfrina è più che consolidata tra gli ex collaboratori dei vescovi passati. I vescovi di turno si sono sempre difesi dicendo che per certe decisioni (quella della SGA – cooperativa voluta da mons. Casale, che ha dato in pegno i terreni di Vado Biccari, ex-dote del piccolo seminario di via Napoli, o quelle del centro giovanile, della chiesa della Mercede, della scuola di teologia, volute da mons. Tamburrino) “hanno sempre ascoltato e ricevuto il parere favorevole dei vicari episcopali”. Questi ultimi a loro volta, dopo e sempre molto dopo, a disastri avvenuti, si sono affrettati a dire “che a Casale non si poteva certo dire di no, senza incappare nelle sue ire”, “che Tamburrino, invece, faceva tutto lui senza comunicare loro alcunché, e che peggio alcune decisioni, come quelle relative alla scuola in seminario, venivano prese al di fuori del consiglio”. Insomma i più stretti collaboratori di Casale e di Tamburrino, hanno vissuto questi anni da "impotenti" o "a loro insaputa”: un ritornello imparato evidentemente dai politici nostrani. Una scusa che non regge e soprattutto è un modo di ragione che non regge. La storia andrebbe completata con chi in quegli stessi anni ha alzato forte la voce contro sprechi e allegre gestioni, ma è stato messo da parte. E' la parte di storia che sembra sfuggire a mons. Pelvi: quella di chi più apertamente attraverso gli organi di stampa o di chi nel segreto delle sagrestie o dei vari coetus consultorum o uffici amministrativi ha spesso manifestato il proprio dissenso e disapprovazione, e ne è stato estromesso o ridotto al silenzio: “a te non ti va bene un vescovo”, “anche tu sei come quel tal prete, che hai sempre da ridire su ogni cosa”, “se il vescovo ha deciso così, noi non possiamo farci nulla: è lui il vescovo”. Ecco a mio avviso le parti monche delle sorprendenti esternazioni di mons. Pelvi: lucida osservazione del disastro, nel quale versa questa scombinata diocesi di provincia, esplicita l’attribuzione delle colpe, meno chiaro il richiamo per chi in quei frangenti, abbastanza colpevolmente, ha pensato più al proprio “particulare”, semmai appagato di “monsignorati” di turno, che al bene presente e futuro della diocesi, sempre pronti a un pilatesco lavaggio di mani, per un defilarsi di responsabilità davvero sorprendente. In una cosa però rimane coerente l’azione del nuovo prelato rispetto al passato, continuare a neutralizzare il dissenso fino a confermare parte della vecchia guardia, che di quei disastri si è fatto corresponsabile. Ecco allora far capolino la domanda dei primissimi giorni: “sei tu quello che deve venire (a riparare i disastri dei vescovi tuoi predecessori, da De Giorgi a Tamburrino), o dobbiamo aspettarne un altro?”. Al lettore la risposta.


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