sabato 9 gennaio 2016


CARO PAPA FRANCESCO TI SPIEGO COME FUNZIONANO LE PARROCCHIE NEL SUD ITALIA
DA L'ATTACCO DEL 6 GENNAIO 2016

I messaggi nella chiesa spesso s’incrociano e danno da pensare. Il primo: papa Francesco invita le parrocchie a un gesto di accoglienza verso gli immigrati, dando loro vitto e alloggio. Le parrocchie hanno fatto orecchie da mercante. “Ma sa il papa come vengono utilizzate le stanze nelle parrocchie?”. Tra aule di catechismo per prima confessione, prime e secondo anno di comunione, primo, secondo e terzo anno di cresima, aule per i ragazzi dell’ACR, per incontri giovanili e le associazioni varie, stanze per i gruppi di preghiera di Padre Pio, stanze per carismatici per ogni soffio di Spirito, stanze per i vari gruppi neocatecumenali (che quando vi entrano loro, con la prima, la seconda, la terza, la settimana comunità…agli altri gruppi non resta che emigrare). Forse il papa che viene da lontano non sa come funzionano le parrocchie da noi. Vanno pur capiti questi poveri parroci. Di stanze in più neanche l’ombra. Al massimo qualche parroco (e solo qualcuno) si dà da fare per un pasto caldo giornaliero (e non tutti i giorni, o se si dà a mezzogiorno, non si ridà la sera). “Stanze per dormire?”, non se ne parla proprio. “E chi li caccia più?”. Tantissimi anni fa, ai tempi di mons. Lenotti, i salesiani del Sacro Cuore andarono ad abitare in una baracca per ospitare in canonica 3 o 4 famiglie di sfrattati, tra le critiche di tutti i parroci di Foggia e provincia. Ma quelli erano tempi eroici. Oggi qualcuno in parrocchia ci abita con l’intera famiglia e parenti a carico, semmai mettendo a reddito la casa di proprietà. Cambiano i tempi. Quindi spallucce per l’invito del papa. Se lo sono fatto scivolare addosso. Ed eccoci al secondo punto: mons. Castoro, della diocesi di padre Pio, manda una lettera ai cristiani di quelle parti, invitando, ancora una volta, le parrocchie, ad “adottare” uno dei 27 seminaristi di quella diocesi: con la preghiera, con l’accoglienza e con “il sostegno economico”. Come “con il sostegno economico”? Ho letto più volte il messaggio e dice esattamente così. La domanda è lecita: ma finora non ci pensavano le famiglie dei seminaristi da una parte e per il resto ci pensava la diocesi? A Foggia per 7 seminaristi, dico 7, si tiene occupato un intero stabile, di non so più quanti migliaia di metri quadri, che potrebbe contenere 50 famiglie di sfrattati, per non parlare di profughi senza vitto e alloggio. Son passati i tempi eroici. E di don Tonino Bello ne nasce uno per secolo. Lui se non ricordo male, viaggiava in cinquecento, con la croce di legno e per anello episcopale la fede di sua madre, gli altri vescovi in Mercedes o BMW, e dava ospitalità agli estracomunitari, addirittura, nelle lussuose sale del palazzo vescovile di Molfetta. Quelli erano tempi eroici. A noi è toccato vedere una stanza per l’amato Pelè, un chihuahua dal pelo lungo che guaiva come un canarino se coccolato a dovere, e con tanto di bagno a lui riservato (proprio così!), perché il poverino poteva buscarsi una bronchite se costretto a fare i suoi bisogni al freddo e al gelo, come un gesùbambinello qualsiasi. Sorprende queste richiesta di mons. Castoro, che da qualche parte pure un senso ce l’ha: infondo i seminaristi (in percentuale sempre minore) sono a servizio, una volta divenuti preti, delle comunità parrocchiali, quindi è più che giusto invitare queste ultime a sostenerli, non solo con l’affetto e la preghiera, ma anche mettendo mano al portafoglio. E prima come si faceva? Questa la domanda. Non è come ampiamente dimostrato dai rendiconti di spesa preventiva della diocesi di Foggia, che si attingeva a piene mani dal famoso tesoretto dell’otto per mille? Oggi la magistratura, era ora, ha cominciato a ficcarci il naso in certe allegre gestioni di quell’introito, che ogni giorno di più rischia di far asservire la chiesa allo stato, altro che il cavouriano “libera chiesa in libero stato” (ma forse non era proprio di Cavour la frase, ma va bene lo stesso). Vorrei vedere dopo i fatti dell’ex abate di Monte Cassino e del vescovo di Trapani Mogavero, se non si muoveva la magistratura: c’è un limite a tutto, quando è troppo è troppo. Qualche altro per reati simili se l’è scappotata dalla nostre parti, per il semplice fatto, che all’epoca forse la magistratura aveva ben altre gatte da pelare (bande mafiose proliferate come mosche nella bella stagione), che stare dietro alle spesucce incontrollate delle diocesi locali. Forse qualche vescovo farebbe bene a tremare (e sarebbe ora) quando vengono utilizzati i soldi dell’otto per mille “per pagare i debiti dei vescovi precedenti”, o per sostenere inutili convegni pastorali, o settimanali multicolori, rimasti non letti a pacchi agli angoli delle chiese. E via discorrendo. Troppi soldi per diocesi come la nostra che in tempi d’oro (ai tempi sempre di mons. Lenotti) non riusciva a racimolare non più di duecento milioni vecchie lire (centomila euro di oggi), e ora si trova con un milione di euro tondo tondo, e senza alcun sforzo per procurarseli. Ecco che giustamente Santoro chiede ai propri fedeli di smetterla di pensare che “tanto c’è l’otto per mille”, sia perché fra poco, grazie a qualche altro scandalo, potrebbe esserci tolto, sia per un utilizzo, spesso troppo disinvolto e spensierato di una manna troppo a buon mercato. Stessa fine per il famigerato sostentamento clero. Dice bene Wikipedia: “Con la firma del nuovo concordato (18 febbraio 1984) tra l'allora presidente del consiglio italiano Bettino Craxi e il segretario di stato del Vaticano Agostino Casaroli si stabilì che il sostegno dello Stato alla Chiesa avvenisse nel quadro della devoluzione di una frazione del gettito totale IRPEF (l'otto per mille, appunto) da parte dello Stato alla Chiesa cattolica e alle altre confessioni (per scopi religiosi o caritativi)”. Appunto “scopi religiosi” (non stipendio ai preti) e assistenziali (la caritas e quant’altro). C’era un’altra fonte da utilizzare allo scopo ed era la detrazione delle tasse, da parte dei cittadini per contributi dati alle varie religioni operanti in Italia, fino a due mila euro. Ora sembra che mons. Pelvi voglia porvi rimedio, incaricando qualcuno per la relativa pubblicità. Era ora o il terreno scotta troppo sotto i piedi di questi vescovi (non penso a Pelvi) spendaccioni?

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