domenica 12 marzo 2017

TUTTE LE BUFALE DELLA DIOCESI DI FOGGIA DA TAMBURRINO A PELVI

A CHE PUNTO STIAMO 
CON LE CAUSE DEI TRE DIPENDENTI CACCIATI DAL SEMINARIO NEL 2013
E QUELLE CONTRO TAMBURRINO E DA ULTIMO CONTRO PELVI.

Allora proviamo a fare qualche ragionamento....sembra che una volta passato il portone della curia di Foggia o quello più solenne della curia vaticana, la gente normale, specie se di chiesa, diventa improvvisamente malvagia e scatta la mala fede, calpestando senza ritegno la dignità delle persone (e meno male che sono preti, vescovi e cardinali), e si cimenta in impossibili cause che puntualmente perde..."E chi se ne frega", dicono, mica pagano loro di persona, paga sempre pantalone, cioè la chiesa o la diocesi, cioè l'otto per mille. E poi qualcuno ci spiegherà come mai la gente non dà più soldi alla chiesa?
Ricapitoliamo la storia per i più distratti.
1. LA CACCIATA DEI TRE DIPENDENTI
Tre dipendenti della scuola Liceo Sacro Cuore sono cacciati da un giorno all'altro, era settembre-ottobre del 2013. Motivazione: dopo 10 anni qualche idiota supponente, tra le fila dei nuovi dirigenti, s'accorge, o meglio s'inventa l'esistenza di due scuole parallele insistenti e operanti sullo stesso istituto paritario del seminario, poggiandosi su carte firmate dal sottoscritto (e non sapendo che agivo per esplicita delega scritta di Tamburrino). Una lettura da perfetto ignorante di carte di cui non si conosce genesi e storia, mentre Tamburrino e soci ne dovevano essere perfettamente al corrente, compreso il consiglio d'amministrazione che proprio quelle decisioni improvvidamente attribuite al sottoscritto aveva preso all'unanimità e da me solo rese esecutive (come da relativi verbali). Non a caso un CDA sciolto subito prima di quella fatidica data, così per non lasciare traccia e avere mano libera di fare i mestatori del menga. Una scuola ufficiale, approvata dal Miur, sarebbe quella di Tamburrino, mentre l'altra è "scuola seconda", privata e carbonara, messa su dal sottoscritto, all'oscuro di tutto e di tutti. Questo il risultato di una lettura, davvero originale e in mala fede, di carte chiare come il sole: bastava chiedere invece di far partire la morbosa fantasia. Una bufala messa su al solo scopo di non più onorare debiti, ereditati dalla precedente gestione, e tutti documentati e già a conoscenza del precedente CDA. Una cifra intorno ai 40mila euro (in un bilancio annuale di quasi 300mila era uno scherzo, se si voleva anche dilazionabile negli anni), causato dal calo di studenti degli ultimi due anni. Se diciamo che la scuola non è di Tamburrino ma di don Fausto, il pensiero di questi mascalzoni, allora questi debiti non sono della scuola approvata dal Miur, ma di quella "scuola seconda" di don Fausto. A questa assurda e fantasiosa ricostruzione abbocca quello smemorato di Tamburrino e i suoi "soci di merenda" (don Pierino Giacobbe e don Bruno Bassetto, rispettivamente direttore ed economo del seminario), pur presenti sia nel vecchio che nel nuovo CDA. Senza rendersi conto, da pivelli allo sbaraglio, delle possibili pesanti conseguenze giuridiche (una storia vecchia questa di Tamburrino, già incappato in passato in cose del genere quand'era vescovo a in quel di Teggiano-Policastro). Una menzogna costruita ad arte con l'aggravante della diffamazione. Cinque ore di chiarificazione con Tamburrino, il giorno prima dell'udienza di Angelo Berardi, non sono serviti a nulla. Sembrava convinto quella mattina, dopo le mie spiegazioni, carte e documenti alla mano, ma nel pomeriggio la cricca della nuova dirigenza scolastica gli ha fatto di nuovo cambiare idea, e si è dato vita ai processi in questione, dei quali due già miseramente persi, com'era prevedibile, con grave danno economico per la diocesi e il terzo previsto per il 15 giugno non avrà certo esito diverso, visto i primi due.
2. LE CAUSE VINTE DA DUE DIPENDENTI
I tre dipendenti cacciati hanno fatto subito causa a Tamburrino e due Angelo Berardi e Diego Ciccarelli, l'hanno già conclusa con successo. La storia delle due scuole dentro lo stesso istituto non stava proprio in piedi, per i giudici (anche in sede di appello), si è dimostrata solo un'indegna colossale bufala. Non ci sono mai state né mai ci potevano essere due scuole opranti nello stesso istituto paritario: una assurdità giuridica, essendo una scuola riconosciuta dallo stato, per le cui leggi non sono previsti "appalti a strutture esterne" per docenti e personale non docente. Una bufala che se fosse stata vera avrebbe avuto conseguenze ben più disastrose di quelle economiche, dalle quali volevano uscire per il rotto della cuffia, i furbetti del quartierino. Se vera, ben 1500 diplomi, quanti sono stati gli studenti passati per quella scuola in dieci anni, sarebbero nulli, e la stessa carriera di centinaia di professori e personale non docente, che oltre agli stipendi accumulavano ogni anno punteggio pieno per l'inserimento nella scuola pubblica sarebbe di colpo azzerata. Perdendo le prime due cause Tamburrino e diocesi di Foggia-Bovino sono stati costretti dal tribunale di Foggia prima a riassumere Berardi (oltre al pagamento di 30/40mila euro per il danno subito), cosa che i soliti furbetti si sono ben guardati dal mettere in pratica (e di qui una nuova causa intentata da Berardi), poi a pagare quasi la stessa cifra all'altro dipendente, Diego Ciccarelli. La causa di Angela Nardella, la terza dipendente messa alla porta, è ancora in corso e il 15 giugno avrà il suo prevedibile epilogo, visto l'esito delle due precedenti.
3. LA DIFFAMAZIONE NEI MIEI CONFRONTI
In quei due processi sono stato tirato in ballo personalmente, coinvolto mio malgrado. Per Tamburrino e i suoi azzeccagarbugli i tre impiegati sono stati cacciati, licenziati in tronco, in quanto assunti non da Tamburrino ma dal sottoscritto. Tutto questo senza un briciolo di prova. Solo affermato. Ovvio citare in tribunale Tamburrino e soci per danni, nella speranza che al di là delle chiacchiere espresse nelle memorie difensive, dimostrino in tribunale, documenti alle mani, il loro fantasioso teorema. Il processo contro Tamburrino e soci Iniziato due anni fa, è stato più volte rinviato per i soliti cavilli degli azzeccagarbugli di Tamburrino (questo lo sanno fare alla grande), ma alla fine si è dovuto celebrare lo scorso 28 febbraio. Colpo di scena: la banda Bassotti non si è presentata in tribunale: tutti ufficialmente "fuori sede", nello stesso giorno. Forse speravano in un altro dei tanti rinvii. Ci ha pensato il giudice a disincantarli: ultima prossima udienza il 28 marzo. Se assenti il processo va avanti e addio conciliazione. E per chi perde la cosa sarà piuttosto pesante, ha sentenziato senza mezzi termini il giudice, rivolto agli avvocati dell'altra parte.
4. LA CAUSA DI ANGELA NARDELLA E NUOVE ACCUSE DIFFAMATORIE NEI MIEI CONFRONTI
Non faccio a tempo a seguire l'esito finale di questi primi due processi, e quello mio, ancora in corso, contro Tamburrino, che il 15 giugno arriva in tribunale anche il terzo processo intentato da Angela Nardella (l'altra dipendente cacciata una prima volta nel 2013, riassunta subito dopo dalla stessa scuola ma senza contratto e infine ricacciata di nuovo, adducendo il solito motivo messo in atto per i primi due: siamo alla follia pura). Il processo la vede contrapposta alla diocesi di Foggia, dopo i falliti tentativi di conciliazione (colpa di un Tamburrino e soci, sempre incaponitisi in una posizione fallimentare). Questa volta il mandato all'avvocato di parte è stato dato dall'attuale legale rappresentante, da mons. Pelvi e non più mons. Tamburrino. E che fa mons. Pelvi? Con la stessa disinvolta dabbenaggine del predecessore, dà mandato all'avvocaticchio di turno, tale Fatigato, di comporre una memoria difensiva contro Nardella. Peccato che in questa memoria difensiva vengono riproposte in un penoso e scandaloso copia-incolla, le stesse accuse diffamatorie, nei miei confronti, già utilizzate a suo tempo da Tamburrino e smentite, senza ombra di dubbio, nei due precedenti processi. Bisogna proprio essere votati al martirio.
5. LA DENUNCIA A PELVI PER DIFFAMAZIONE
Secondo voi cosa devo fare ora, dopo questa ennesima e reiterata diffamazione? Non mi resta che DENUNCIARE ANCHE PELVI, come già fatto per Tamburrino. Ho dato mandato al mio avvocato di procedere, come da legge.
CONCLUSIONE
La tesi è sempre la stessa: vuoi vedere che una volta attraversato il portone della curia di Foggia (ma non di meno quella della curia Vaticana, che con assoluta malafede ha confermato a suo tempo le tesi di Tamburrino, senza neanche leggere le carte in questione, anzi facendo anche loro un indegno copia-incolla della sua diffamazione e rinviandola al sottoscritto) la gente non entra in un ambiente quasi sacro, degno di ogni rispetto, ma in una bettola di mascalzoni e delinquenti, che diffamano senza ritegno, forse facendosi forti di una copertura religiosa d'altri tempi, oggi ampiamente compromessa grazie anche alla storia dei preti pedofili e ai tanti altri scandali amministrativi, nelle diocesi italiane e non solo. Per gli inetti e perdigiorni curiali romani sembra che questa strada, di dare, cioè, addosso ai preti praticamente indifesi (per il ricorso alla Segnatura Apostolica mi sono stati chiesti più di 10mila euro, per un causa che se pure vinta non avrebbe cambiato di un et la storia), e favorire così il vescovo di turno, sia un'ottima opportunità per fare carriera. Per Foggia per ora è solo una strada a senso unico per arrivare a quota 5 cause, sicuramente perse, visto l'esito delle prime due. Ai cardinali, vescovi e relativo codazzo di vuoti a perdere, amanuensi della curia romana ci penseremo dopo.

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giovedì 15 dicembre 2016

TUTTI GLI ARTICOLI 
OTTOBRE-DICEMBRE 2016  


LA BANDA BASSOTTI ALL'OPERA NELLA CHIESA DI FOGGIA-BOVINO


LA BANDA BASSOTTI DELLA CHIESA DI FOGGIA-BOVINO
Da ragazzo, come tutti i miei coetanei, divoravo ogni numero di “Topolino”, un giornaletto settimanale, multicolore e pieno di storie e di figurine, del mondo animale, che vivevano in un mondo a parte, a Paperopoli: una vera e propria città, popolata di tanti personaggi, che vivevano e agivano come persone del mondo reale, con gli stessi vizi e le stesse virtù. Un giornaletto per noi mitico, straordinario, anche se prodotto del mito americano, scodellato pari pari a noi, ignari bambini dell’epoca (erano gli anni 50-60). Ma questo l’abbiamo capito solo più tardi, quando anche quel mito cominciava ad andarci un po’ stretto. Ricordo che per godermelo di più non leggevo subito le nuvolette con le parole, ma seguivo le storie attraverso le immagini fino alla fine. Solo se non le capivo ci davo una seconda lettura. Un gioco e niente più. Tra i tanti personaggi di quel fumetto mi faceva impazzire la Banda Bassotti, una scalcinata banda di ladruncoli, copia dei famosi cagnolini beagles, pelle beage, nasone nero pronunciato e orecchie grandi, con le quali inciamparsi a ogni corsa. Era una banda di “fratelli”, tutti uguali, senza identità, un’associazione a delinquere, alla quale non gliene andava bene una: ogni striscia li vedeva puntualmente dietro le sbarre. Insomma una banda di sfigati. Perché tanta reminiscenza? Perché la banda bassotti è, nostro malgrado, ritornata di moda, diventando icona del nostro tempo. Una Banda Bassotti ha chiesto in questi giorni l’ennesima fiducia a camera e senato, dopo che la precedente fotocopia ha fallito miseramente. Ma visto che tratto spesso di cose di chiese, anche in quel contesto la Banda Bassotti colpisce alla grande. Ed ecco la storia, fuori dal fumetto. Avendo chiesto un anno sabbatico per motivi di studio e altro ancora, ho dovuto lasciare con un certo rammarico, sapendo benissimo in che mani di scombinati sarebbe finita la loro gestione, sia le Suore del Piccolo Seminario, in via Napoli, che la Confraternita di Santa Monica, in via Arpi, ubicata presso la chiesa di Sant’Agostino. Come era fin troppo prevedibile, entrambe sono state lasciate senza prete. Alle suore del Piccolo Seminario ne è stato promesso uno, in verità, il quale ha fatto subito sapere che si farà vivo dopo le feste di Natale (troppo lavoro per lui che è anche viceparroco da qualche parte di Foggia, oltre che cappellano presso la confraternita di san Giuseppe, in via Manzoni). Per la chiesa di sant’Agostino il percorso si è da subito fatto più tortuoso. Il parroco della cattedrale ha fatto sapere ai richiedenti che preti per “coprire” quella confraternita non ne ha, e che in ogni caso, ha aggiunto minaccioso: “nessun altro prete potrà dire la messa in quella chiesa, senza il suo esplicito permesso”. A Foggia si dice “curnut’e e mazziet’e”. Andate dal Vicario Generale, è stata la risposta alle loro insistenze. “Niente preti”, ha detto mons. Filippo Tardio, il vicario. “Come niente preti?” Si sono detti i questuanti “cappello in mano”. “A San Giuseppe Artigiano (la parrocchia del Vicario) ci sono ben tre preti che nei giorni feriali addirittura concelebrano. Don Orazio (uno dei tre, da sempre amico della confraternita) potrebbe venire a celebrare da noi”, hanno fatto notare. “Non se ne parla proprio. Andate dal vescovo”, è stata anche questa volta la risposta un po’ piccata del Vicario Generale. Si sono arresi, vista come il vescovo Peli ha trattato quelli della chiesa di san Luigi. Insomma quanto più volte denunciato dalle colonne di questo giornale, a Foggia, qualcuno una volta messo a posto la propria pancia, diventa insensibile ai problemi altrui. Tutti gli ufficiali di curia, o quasi, hanno uno o due viceparroci al servizio. Loro in effetti sono multitasking dai molteplici incarichi, da aver bisogno non di uno ma spesso di due viceparroci o collaboratori, diaconi compresi. This is the end. Questo è solo l’avvio della fine. Quello che sta succedendo a Santa Monica, presto avverrà anche per le altre confraternite, che se trattate così non potranno che chiudere. Mentre quella di san Giuseppe Artigiano, quella del vicario generale, è assunta alle cronache cittadine per gestioni non proprio trasparenti dei nuovi loculi al cimitero. Ma questa è un’altra storia semmai per un altro articolo. La faccenda di oggi è chiara: saranno sempre i più deboli, come i confratelli di santa Monica, a dover abbozzare. Loro caparbi si sono mossi a cercare altri preti disponibili, ma il dictat del parroco della cattedrale è stato come una condanna a morte e un taglio di gamba: “nessun prete...senza il mio permesso”, manco fosse una riserva di caccia, o una riserva indiana, e senza alcun riferimento al diritto canonico, ad usum delfini: sono ormai legge a se stessi questi della cattolica Banda Bassotti. Un ripensamento di tutto il sistema clericale a servizio delle comunità, che non siano sempre e solo quelle parrocchiali non è dato sapere, non si fa né si ipotizza, preferendo convegni su famiglie e giovani (che novità?). Sarebbe chiedere troppo a questa banda bassotti, ritrovatisi fratelli beagles, cui, purtroppo, è toccato in sorte la gestione di questa delicatissima situazione, della scarsità di clero. Mostrando solo incapacità e incompentenza: un male non solo foggiano ma di tutto l’orbe cattolico. Da noi non si va oltre la punta del naso, troppo grosso da coprire ogni altro orizzonte, e, da sempre, si fa figli e figliastri. E’ questo che a volte fa l’amara differenza.


LA LENTA AGONIA DI UNA CHIESA CHE NON VUOLE CAMBIARE...

L'ATTACCO DEL 3 DICEMBRE 2016
Nella storia dell’umanità, si sono succeduti, profeti o cassandre annunciatori di imminenti catastrofi, puntualmente inascoltati. Un testo biblico di riferimento è quello di Luca 17: “Come avvenne al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano: ma nel giorno in cui Lot uscì da Sodoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece perire tutti. Così sarà nel giorno in cui il figlio dell’uomo si rivelerà”. Cui fa eco quello di Matteo 25: “Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’Uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio, mangiavano, bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entro nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del figlio dell’Uomo”. Anche profeti “laici” non si sono sottratti al genere catastrofistico biblico. Così Ciai profeta in Assisi: “La città si svuoterà. Le notizie scemeranno e di disperderanno al vento la stampa si inaridirà e sparirà. Si lamenteranno e faranno lutto i pescatori di notizie e si lamenteranno e rimarranno desolati i pescatori di uomini. Industriali, commercianti e disegnatori di moda saranno confusi e impallidiranno. L’economia crollerà e gli operai resteranno sgomenti”(da Profetizza, Marcello Ciai, 1995). Applicare questo catastrofismo di maniera alla nostra epoca, alla nostra città e alla nostra chiesa locale, è un gioco fin troppo facile. Ci cimentiamo lo stesso. Troppi sono i segnali di una fine ormai prossima. Essere inascoltati fa parte dello stesso gioco. Ci cimentiamo ugualmente a partire da un settore della vita umana a noi più vicina e meglio conosciuta: la vita della chiesa. A Foggia, a dire il vero, anche quella laica, del versante politico-sociale-economico non da meno da pensare, di una prossima fine di questo sistema di cose. E’ dai tempi di De Giorgi, per poi scivolare a quelli di oscuri di Casale e proseguire con quelli insignificanti di Tamburrino e finire a quelli di Pelvi, che si nota un continuo lento inesorabile scivolare verso la fine di un certo sistema di cosa, e un certo sistema di chiesa. Il concilio è stato uno scossone per la Chiesa, ma i vecchi volponi, abituati a terremoti ben peggiori, sono sobbalzati per un po’ per poi ritornare alle loro abitudini, a vivere proprio come ai tempi di Lot e di Noè: mangiavano, bevevano, prendevano moglie e marito e la fine perirono tutti senza scampo. E quali sono i segni di questa imminente fine di un certo tipo di chiesa? L’estinguersi della casta sacerdotale, per iniziare da una qualche parte. Possibile che nessuno si accorga che il numero dei preti sta sempre più scemando? E questo non solo nei seminari nei quali entrano sempre meno giovani ma anche a riguarda dell’età del clero sempre più anziano se non demotivato. Come si risponde a questa provocazione? A Foggia, con mons. Pelvi (e non solo) si risponde con la politica del “tappabuchismo” parrocchiale, della serie basta che le parrocchie siano coperte pur che sia. Per il dopo? “Apré moi le deluge” disse un altro grande della storia. E’ il presente che va salvaguardato ad ogni costo, per il futuro “dio provvede”, dice anche la Bibbia. E per fare questo rattoppo si manda allo sbaraglio, come già Hitler alla fine del secondo conflitto mondiale, preti freschi di ordinazione, con troppe teorie e poca pratica pastorale, poca solidità psichica e religiosa. Ma poco importa “the show must go on”, dicono gli americani, cioè che la farsa continui, diciamo noi più mestamente. Non un momento di ripensamento, un guardare oltre la punta del naso, un colpo di reni e un fermarsi per ragionare a freddo e scegliere la strada migliore per uscire da questo empasse. Più semplicemente l’empasse non viene percepito o lo si considera troppo traumatico o troppo impegnativo per questi vestali da fine impero o monsieur travet da impiegati comunali . Proprio come ai tempi di Lot e di Noè, si preferisce andare avanti, pur che sia, ignorando il problema. Meglio dire che non è malato, che preoccuparsi di curare. Un caso emblematico: in tutto il mondo cattolico i seminari minori si chiudono, vista la loro quasi assoluta inutilità. A Foggia no. Si tiene aperto uno stabile immenso, semivuoto (e i poveri e gli sfrattati dove li mettiamo?), pensato per duecento seminaristi che ne contiene sei o sette, dei quali, negli ultimi dieci anni, nessuno, ma proprio nessuno, è andato oltre le scuole medie, o al massimo il liceo, senza mai approdare al seminario maggiore (quello di Molfetta, strapieno in verità per un sud che vuole sempre e in ogni caso emergere e risalire la penisola: solo un altro segnale di una fine imminente: motus in fine velocior dicevano gli antichi. Il movimento alla fine se fa persino più veloce). Un altro segnale della fine imminente sono le tante confraternite, dai vestiti sempre più simili a un triste carnevale, abbandonate a se stesse e la cui agonia è sotto gli occhi di tutti. Eppure sono le uniche realtà ancora ferme a conservare quello che è e rimane l’essenziale della vita cristiana: “sacralità e servizio”, senza ulteriori fronzoli di sapore socio-pastorale. Alle agonizzanti confraternitesi preferiscono le parrocchie, non meno malate e prossime alla fine, ridotte come sono al raccatto di vecchi e bambini, considerando tali, anche quei ragazzini delle scuola medie, inferiori e superiori, che pur vi soggiornano come utenti di uno spazio di socializzazione, in attesa di un prossimo e inesorabile esodo, o fuga che meglio si addice alla situazione. Non è un caso che il piano pastorale diocesano sia ancora il ripetitivo “famiglie e giovani”. Ad esso fa da supporto uno stanco parrocchialismo, o tappabuchismo. Mancano i preti? In vece di chiudere e ripensare l’intero sistema, si accorpano parrocchie e le si dà l’altisonante e vuoto titolo di “unità pastorali”, una parola che dice tutto e niente. C’è sempre e solo un prete, un parroco, che prima aveva una chiesa da accudire e ora ne avrà tre o quattro, come per l’unità pastorale del centro storico di Foggia. La cattedrale, che ingloba la vecchia parrocchia di san Francesco Saverio e San Tommaso (chiusa ab immemorabili). Alla stessa povera persona dovrebbero far capo anche una decina o poco meno di confraternite che hanno le loro cappelle nel territorio parrocchiale. Un altro segnale dell’ormai prossima fine di questo genere di cose è l’impostazione elefantiaca delle curie diocesane: diecimila uffici autoreferenziali e spesso del tutto inutili al territorio, modellate sull’altrettante elefantica curia della Conferenza Episcopale Italiana. Meno c’è vita è più ci s’illude che l’organizzazione la possa supplire o far rivivere. Anche in questo campo un ripensamento andrebbe proposto, per impedire che la macchina, ancora gestita da un clero che non molla un briciolo del suo potere clericale, vada a folle velocità contro un muro che è la storia futura. Si dirà che siamo al catastrofismo di maniera. Come non dar loro torto? Concludiamo con l’ultima citazione biblica non meno catastrofica: “«Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?» (Lc 18,8): chi ha orecchi da intendere intenda.


VECCHI RICORDI CHE RITORNANO

ho avuto tra le mani un vecchio pc con la possibilità di leggere anche i dischetti da 3 pollici e mezzo....così ho rivisto foto e articoli che pur ricordo ma dei quali avevo perso il testo...
ECCONE UNO SCRITTO 16 ANNI FA...AVEVO SOLO 50 ANNI E MI SENTIVO Già TANTO VECCHIO E DELUSO, IMMAGINATE ORE CHE NE HO 66...SUCCEDE AD ALCUNE GENERAZIONI DI PERDERE TUTTI, MA PROPRIO TUTTI I TRENI....

DELLA SERIE: SIAMO REALISTI ABBIAMO VOLUTO L'IMPOSSIBILE
Durante gli anni di formazione vissuti presso i Giuseppini del Murialdo, per intenderci quelli dell’opera S.Michele, una straordinaria congregazione religiosa dedita alla formazione dei giovani, sentivo spesso ripetere una frase che mi è rimasta a lungo impressa: “Guai a perdere “educativamente” una generazione di giovani, è difficilissimo ricuperarla”. L’invito che veniva fatto a noi giovani, che ci preparavamo allora al difficile mestiere di educatori, era fin troppo esplicito, nel campo formativo non si può rinviare a domani ciò che è oggi urgente fare, temporeggiare è sempre deleterio: quella generazione viene irrimediabilmente persa, meglio pensare alla successiva. Se ripercorro la storia della mia generazione, quella dei cinquantenni, sento questa frase attualissima. Siamo figli di una generazione cresciuta senza padri ed educativamente persa. La nostra è una storia di occasioni mancate e di amari flash che si rincorrono a ricuperare l’irricuperabile di una infanzia e di una adolescenza malcurata e malservita. Siamo nati all’incirca attorno a quel famigerato ’48, che oggi tanto si vuole esaltare da parte dei partiti del centro, quale avvio della vera libertà…(che vizio ottocentesco datare la storia!) E l’eco di quella battaglia tra bene (la democrazia cristiana) e male (il comunismo) ce la siamo sentita addosso per tutti gli anni dell’infanzia, senza crederci più di tanto. Quante falce e martello ci siamo divertiti a fare sui muri di S.Michele o nei bagni della scuola! Già allora irridenti contestatori di una facilona e bigotta dicotomia. Siamo poi cresciuti male in una città, coperta di macerie e non ancora ricostruita, senza spazi per noi bambini. Quanti racconti strani in quelle sere di maggio, quando, più spesso di oggi, i giovani facevano i loro crocchi agli angoli delle strade e amavano raccontare storie incredibili: “alla villa è apparso un tedesco, senza un braccio, che stava cercando il suo, tra le rovine…In quella casa, sbarrata e pericolante, è apparsa la malombra…”. E i nostri capelli di bambini si rizzavano su dritti, peggio degli steli del grano, e la pelle d’oca non era un eufemismo. I giochi, fatti alla buona e in autonomia, erano per strada, tra case diroccate e blocchi di tufo ammonticchiati qua e là, a catasta, per la ricostruzione, con la calce viva sempre in agguato, dove giocare agli indiani o a nascondino e tendere imboscate era facilissimo e assai divertente. E quel bambino accecato dalla calce, o quella bambina, schiacciata da una camonion, perché s’era andata a nascondere in cartone lasciato lì in mezzo alla strada? Altro che il bambino di Vermicino, finito in un pozzo artesiano, sono cose che si stampano nel subcosciente e ritornano spettrali nelle notti insonni. Quante scritte sui muri rabberciati, in una lingua allora sconosciuta, l’inglese degli yankee “nostri liberatori”, che per liberarci avevano raso a suolo la nostra città, uccidendo ventimila foggiani, cosa che già allora ci pareva da matti. Era quasi un rincorrersi di scritte, tese a sostituire quelle ancora ben leggibili e non sbiadite dal tempo, degli anni ruggenti, che non ci era stato concesso vivere ma per Foggia non si tingeva di tutto quel nero che in futuro ci hanno voluto descrivere: “credere, obbedire, combattere”… “meglio un giorno da leoni e cento da pecore”…”VIVA IL DUCE”. Quanto ci parevamo incredibilmente buone quelle dure gallette al cioccolato della POA che i padri di S.Michele, distribuivano ai bambini bravi, in cambio di una messa, alla quale correvamo allegramente tutti, non so per fede o per fame, vestiti a nuovo con la roba americana, che il mercato del venerdì allora svendeva per pochi spiccioli, sciogliendo cataste grandi quanto case, e che le nostre mamme prima di farceli indossare lavavano e rilavavano molte volte con il sapone “SOLE” o il detersivo TIDE, un prodotto americano che leggevamo all’italiana. Siamo cresciuti male, in balia di miti americani, che un generoso cinema Garibaldi, ci spiattellava ogni sabato, con gli indiani, i tedeschi o i giapponesi sempre dalla parte dei cattivi e i visipallidi e i marines sempre buoni e liberatori. Quanta “cingomma” ci siamo masticati in quegli anni, con cura e continuamente, per far dimenticare la fame. Venne poi il boom economico “dei favolosi anni sessanta”, che per molte famiglie foggiane segnò l’inizio di una triste emigrazione, a Milano e a Torino o in Veneto, dove la nostra formazione umana e culturale continuò, incattivendosi, per una stupida avversione antimeridionale che in quegli anni si tagliava a fette nelle regioni del nord, tra l’indifferenza dei nostri politici socialisti e democristiani di terza mano, perché di terza generazione, fannulloni e ingordi da fare ribrezzo. Venne poi il Concilio Vaticano II che impedì a molti di noi di lasciare una chiesa ottusa e sagrestana, rendendo possibili e a portata di mano speranze e attese a lungo sopite. Quanto terzo mondo nei nostri temi, quante nuove frontiere che un Ghandi, un giovanile Kennedy o un Martin Luther King ci facevano sognare. Quante canzoni dei rampanti cantautori, strillate fino a perdere la voce. E poi il sessantotto, la contestazione globale, come si diceva allora, versante laico, delle istante innovative della Chiesa, soffocata nel sangue di lì a poco. Speranze ancora deluse e frustrate per l’ottusità della borghesia e dei “nostri grandi”, da cui trapelava solo apprensione e incapacità a comprendere e paralisi educativa . “Siamo realisti, amavamo ripetere in quegli anni di amara delusione, abbiamo voluto l’impossibile”. E poi il tempo della formazione è passato. Siamo diventati adulti, nonostante tutto e tutti. I nostri educatori ci hanno perso, non hanno capito e certo non siamo stati proprio docili a quei discorsi formativi che sembravano vuoti miti, sopravvissuti a se stessi. Siamo cresciuti male, tra speranze e delusioni, tra mistificazioni e frustrazioni. Siamo una generazione persa e senza padri, con un forte senso di rammarico. E il rammarico si fa ancora più grande quando ci siamo accorti che la nostra è una storia infinita. A vedere lo spettacolo che la droga, la delinquenza organizzata, le morbose fantasticherie delle ragazze di Castelluccio ci stanno offrendo, pare che la storia educativa del nostro tempo si ripeta al peggio. E c’è ancora oggi, come c’era allora, il sedicente alfiere, autentico interprete del mondo giovanile, che si inventa mauselei alla memoria. Le strutture al posto della formazione. Un mito tardi a morire. Ma la formazione, quella personale, di chi comprende, di chi si fa compagno di strada, di chi segue con fiducia e da vicino, senza inutili spaventi, di chi coinvolge e si fa coinvolgere dalla storia è ancora vista con sospetto…I settantenni, nostri educatori di un tempo, hanno ancora ben saldo il potere tra le mani e non danno spazio. La storia, quella nostra e quella a noi successiva, non ha insegnato loro proprio nulla. Vuoi vedere che con il duemila tutto questo mondo veramente cambierà?

ARTICOLO DEL 26 OTTOBRE 2016

L'articolo che vi mancava: E GUERRA SIA....
CHI PUNZECCHIA E BACCHETTA CHI?
Il contesto è stato quello dell’inaugurazione dell’anno pastorale della Diocesi di Foggia-Bovino, la ricorrenza quella della consacrazione della cattedrale di Foggia, la folla delle grandi occasioni. Un’omelia, breve, e molto apprezzata dall’attento pubblico in chiesa. Quando si è avuto modo di leggere il testo nel sito della diocesi, alcune puntualizzazioni che nell’ascolto erano sfuggite ai più, sono balzate subito agli occhi. In particolare una frase, un caldo invito alla “riconciliazione”, almeno all’apparenza: "con voi vorrei non sentire mai parlare male degli altri, che si evitassero giudizi cattivi e che non si offendesse, da parte di qualcuno, con volgari menzogne scritte, la diocesi e il presbiterio". (http://www.diocesifoggiabovino.it/index.php? pag=arcivescovo& sub_pag =omelie &id=24). Un monito generico forse con un peccato d’origine che è proprio quello di “cogliere nel mucchio”, un dire e non dire, che permette ad alcuni di pensare quel che si vuole, mentre ad altri può lasciare l’amaro in bocca, come ci tiene a far sapere don Faustino Parisi, dai più considerato come il referente delle succitate frasi. Peccato, fa notare l’interessato, che l’eccellentissimo si dimentica molte cose che andrebbero, invece, ricordate. E che cioè al tribunale di Foggia c’è una causa pendente per diffamazione nei confronti di mons. Tamburrino e altri sacerdoti della diocesi, rei d’aver scritto e detto “cose davvero cattive” e “volgari menzogne” a proposito dell'ex-dirigente scolastico della scuola paritaria ubicata nel Seminario di Foggia, accusato ingiustamente e senza prove, d’aver “posto in essere e gestito”, all’insaputa di tutti, “una scuola parallela e seconda”. Accuse tanto inconsistenti da far perdere alla Diocesi ben tre cause con i dipendenti, messi alla porta con questa motivazione, e conclusesi con il reintegro immediato di uno dei tre e il pagamento (si dice parecchie migliaia di euro) per il risarcimento del secondo e altri ancora per la terza, il cui iter processuale è ancora in corso, ma dall’esito fin troppo scontato. Per queste cause perse, l’intera diocesi di Foggia, sta sborsando migliaia di euro e altrettanti, quasi certamente ne dovrà sborsare ancora, a riparazione dell’onore e del buon nome, (se non la diocesi certamente lo stesso mons. Tamburrino), quando fra non molto si arriverà alla conclusione della citata causa per diffamazione intentata da don Fausto. C’è anche dell’altro da leggere tra le righe di quell’omelia, suggerisce l'interessato, onestamente di più ampio respiro e non era centrata solo su questo dettaglio. Ricorda che non più tardi di qualche settimana fa, il nuovo avvocato della curia, nominato dallo stesso Pelvi, non ha esitato a reiterare le accuse di sempre nei suoi confronti, nel processo d’appello della causa già vinta, in prima istanza, dal signor Berardi. Ed è, infine, cronaca di questi giorni la richiesta di una delega da parte dell’Arcivescovo all’ex-dirigente del Liceo Sacro Cuore, “per il pagamento di arretrati INPS”, per contributi dovuti ai dipendenti, sempre di quella “scuola parallela e seconda”, all'origine di tutto lo sciame processuale cui si è fatto cenno. Insomma una bega che non sembra vedere la fine, per ilmomento




ARTICOLO DEL 19 OTTOBRE 2016
ed ecco l'articolo che vi mancava....
incontriamo e tappabuchismo.....la nuova linea pastorale della diocesi di foggia....SIAMO ALLA FRUTTA

Mi è stata recapitata, forse per errore, una lettera a firma del vicario generale, mons. Filippo Tardio, indirizzata “ai Direttori degli uffici di Curia, ai parroci, ai superiori degli istituti di vita consacrata, ai responsabili dei gruppi, movimenti e aggregazioni laicali”. Quindi ne sono esclusi tutti i viceparroci e i sacerdoti senza incarico, e chi come il sottoscritto non partecipa di alcuna delle suelencate catogorie. E nonostante tutto mi è stata inviata ugualmente, con il solito metodo artigianale, del corriere che se la lettera è stata scritta di lunedi, la posso leggere solo la domenica, quando mi reco alla chiesa di sant’Agostino, luogo dove solitamente mi viene recapitata a mano. Ma questo sarebbe il meno. E’ una lettera di accompagnamento con annesso “calendario delle attività pastorali della diocesi di Foggia”, e questo è il peggio: il nulla fatto sistema pastorale. Un documento fitto di appuntamenti, e di incontri, di attività, impressionante. Peccato che si tratta di un cliché, ogni anno sempre uguale, a fotocopia, senza fantasia e senza alcuna voglia di cambiamento, sia per le persone cui sarebbe rivolta (sempre gli stessi operatori del settore liturgia, catechesi e caritas, fedele a uno schematismo vecchio e desueto che solo la diocesi di Foggia ancora continua a perpetrare) e sia per gli interessati: operatori pastorali e spesso solo loro. L’unica preoccupazione dell’estensore è che “non si accavallino iniziative concomitanti”: praticamente non c’è mese e non c’è settimana che non venga fatta un’iniziativa di livello diocesano. Anche qui lo schema è sempre lo stesso, verticistico e dirigistico: il vertice ( sia esso il vescovo, gli ufficiali di curia, i vicari di zona, o chi per loro) “incontra” la base, i referenti, simili a sudditi in attesa del gran momento, che hanno il solo dovere di "andare all'incontro". L’”incontrite cronica” sembra la malattia che caratterizza questo calendario pastorale diocesano 2016/2017, in verità perfetta fotocopia di quello del 2015/2016, a sua volta stancamente fotocopia di quello del 2014/2015 (e nonostante il passaggio dal vecchio al nuovo vescovo). Gallina vecchia fa buon brodo dicevano gli antichi cui fa eco l’altro proverbio: chi lascia la via vecchia per quella nuova, sa cosa lascia ma non sa cosa trova. Sarà per questo che qui a Foggia non cambia mai nulla, neanche i calendari pastorali. La parola “incontro” viene ripetuta almeno 45 volte esplicitamente (e per sei/sette mesi di attività pastorale è davvero un record difficilmente eguagliabile). Per un’altra ventina di volte la parola incontro è sostituita con “aggiornamento”, “formazione”, “uscita”, “raduno”, ecc. Ed ecco un paio di mesi presi a caso, settembre-ottobre: 20 settembre, incontro degli insegnanti di religione con l’Arcivescovo; 14 ottobre incontro dei preti giovani; 15 ottobre incontro di formazione per ministri istituiti e straordinari della Comunione, 16 ottobre incontro ministranti, 17 ottobre incontro vicari di zona, 24 ottobre incontro dei diaconi e aspiranti al Diaconato permanente; 26 ottobre incontro parroci….e via di questo passo: ogni mese si ripetono con qualche piccola variante gli incontri del mese precedente. La fa da padrona la liturgia, a seguire la catechesi e sono solo quattro “gli incontri della caritas diocesana”. E questo sarebbe un programma, dicono gli estensori. Per noi, disincantati osservatori, è solo un pretenzioso, pomposo, ripetitivo, scolastico programma sempre uguale, vistosamente malato di “incontrite acuta”. Tra le tante amenità resta sempre l’incertezza sul luogo di questi 45 e più incontri. Mancando il luogo si deve pensare che siano tutti fatti a Foggia, al centro diocesano. Ipotizzare che un ministro straordinario dell’Ecuarestia ogni mese si muova dal suo paesello (Accadia, per fare un esempio) per incontrarsi a Foggia a un orario comodo per i foggiani (attorno alle quattro del pomeriggio), fare la riunione, di solito una o due ore e poi trovare un pulmann per rientrare in tempo, è veramente irrealizzabile: di fatto nessuno lo fa, neanche dalla vicina san Marco in Lamis, che di pulmann ne ha molti di più a disposizione. Come è impensabile che l’incaricato diocesano vada in provincia (ma gli incaricati in questione, cioè i vicari episcopali, sono per la maggior parte parroci oltre ad avere altri mille incarichi). In ogni caso questo non è previsto dal programma pastorale diocesano, il fotocopiato ogni anno uguale. Quello che sempre manca a questa scombinata diocesi di provincia sono le “verifiche”. Si è mai chiesto mons. Tardio se questo sistema, a parte il più classico riempimento di bocca, per dire che le cose in questa diocesi pur si fanno, riesce davvero a dare impulso alla pastorale di questa chiesa locale? Ai più pare uno stanco tirare a campare, di chi non riesce a pensare a nient’altro che all’eterno uguale. L’altro difetto vistoso che neppure il nuovo prelato è riuscito a cambiare è la pastorale “tappabuchi”, un difetto di tutta la chiesa italiana, se non universale, ma a Foggia è proprio abbiamo raggiunto il top. Una volta dato per scontato che la parrocchia è l’unico e il solo strumento della pastorale della chiesa, la preoccupazione che si nota è quella di “coprire i ruoli", di "tappare i buchi delle parrocchie”, Ma vista la scarsità di preti, questi parroci sono sempre più giovani, inesperti, impreparati, visto che l'altro pomposo sistema di preparazione clericale, il seminario di Molfetta proprio non riesce a fare di meglio. Se all’incontrite si accompagna il tappabuchismo pastorale davvero siamo giunti alla fine di questo tipo di chiesa, cioè alla frutta. Sarebbe troppo chiedere all’attuale dirigenza foggiana uno sforzo di fantasia? Abbandonare le pastorale dell’incontrismo e del tappabuchismo per una pastorale che centri tutto sulla sacralità e sul servizio al mondo, è chiedere una cosa dell’altro mondo? Evitando strutturazioni forti che come si vede ogni giorno nessuno è più capace di reggere. Immaginarsi in diocesi dimenticate da Dio e dagli uomini come quella foggiana? Dobbiamo farcene una ragione: siamo realisti stiamo chiedendo l’impossibile.

sabato 9 luglio 2016

TUTTI GLI ARTICOLI SULL'AFFAIR SAN TOMMASO E IL MILIONE E 150MILA EURO SFUMATI PER L'INSIPIENZA 
DEI CURIALI DI FOGGIA


tutto l'affair san Tommaso e il milione e 150mila euro persi per la dabbenaggine dei curiali della diocesi di Foggia-Bovino (altri sono stati persi ad Accadia....è proprio un vizio).
foto di Fausto Parisi.




NON PERDETEVI L'ATTACCO DI OGGI....9 LUGLIO 2016
TUTTI I RETROSCENA DELL'AFFAIR S. TOMMASO E I FONDI PERSI PER SEMPRE
INCOMINCIANO A USCIRE FUORI I PRIMI NOMI
CARACOZZI-RICCI, (ARCHITETTI),
ING. PARADIES (SPONSORIZZATO DA MONS. SACCO),
IL PARROCO DELLA CATTEDRALE (ROCCO SCOTELLARO)
IL DIRETTORE DELL'UFFICIO LITURGICO E ARTE SACRA (MONS. ANTONIO SACCO),
IL VICARIO GENERALE-RICHELLIEU (MONS. FILIPPO TARDIO) 
DA ULTIMO MONS. PELVI, QUESTA VOLTA LA VITTIMA, IMPLICATO IN INTRIGHI CHE NON RIESCE A GESTIRE,
IGNARO E ALLO SCURO DI TUTTE LE SPORCHE MANOVRE GIOCATE ALLE SUE SPALLE
IL CUI SOLO PECCATO E' STATO QUELLO DI FIDARSI TROPPO DI QUESTA MANICA D'INCAPACI...E ARRUFFONI
E INTANTO IL FINANZIAMENTO E' ANDATO IN FUMO...
GRAZIE A: CARACOZZI-RICCI-TARDIO-SCOTELLARO-SACCO 
LA CITTA' VI SARA' ETERNAMENTE GRATA

UNA STORIA EMBLEMATICA DI QUANTO SIAMO INGUAIATI....E NE SIAMO SICURI NESSUNO PAGHERA' PER QUESTO...
Proviamo a mettere in fila le tante dicerie circa il fattaccio del contributo regionale per il restauro di san Tommaso, ANDATO IRRIMEDIABILMENTE PERDUTO:
- Ad aprile 2015 vengono stanziati i milioni per il restauro dei beni storici culturali di tutta la Puglia, a Foggia 1 milione e 150mila euro
- la pratica per la chiesa di San Tommaso non va in porto e il contributo si sfuma: si perdono un milione e 150mila euro (per capirci)
QUESTO IL FATTACCIO:
CONTRA FACTUM NON VALET ARGUMENTUM....DICEVANO GLI ANTICHI...
I MODERNI DICONO CHE "I FATTI SONO FATTI"....
E QUESTA E' PROPRIO UNA PORCATA BELLA E BUONA...
IL RESTO SONO CHIACCHIERE PER IL NOSTRO DILETTO....CHE POCO AGGIUNGONO AL FATTACCIO ORMAI IRREVERSIBILE....
COSI' UNA RISATA LI SOMMERGERA'
E ORA DI CHI LA COLPA DEL FATTACCIO? 
- le carte non sono state spedite a Bari perché di fatto non hanno firmato chi doveva firmare don Rocco Scotellaro, parroco della Cattedrale, nonché responsabile della chiesa di san Tommaso, mons. Antonio Sacco, direttore dell'ufficio Liturgico e dell'architettura e arte sacra.
- Motivazione: non se la sono sentita di prendersi questa responsabilità (ma i motivi sono ovviamente altri): alla faccia degli incarichi di responsabilità che ricoprono
- di conseguenza nemmeno mons. Pelvi ha potuto apporre la sua firma, mancando le altre, su un documento che, per questo non è mai partito 
- la colpa di Pelvi è l'essersi fidato di una apparato di curia del tutto inefficiente...una polpetta avvelenata il cui responsabile unico è solo il vicario Generale mons. Tardio. Lui sta dietro tutte le nomine curiali (fatte nell'interregno tra Tamburrino e Pelvi: non dimentichiamolo mai)
- gli architetti della curia, a sentire la loro versione, hanno fatto tutto quello che era in loro potere, fino alla gara d'appalto
- la gara d'appalto è stata fatta ma qualcuno dei costruttori "raccomandati di ferro", (a sentire le voci maligne....sempre vere) non è stato tra i vincitori della gara, di qui il disappunto dei relativi sponsor e patron... 
- chi se ne è sbattuto più di tutti è stato un certo ing. Paradies di Bari (il cui nome è stato fatto, a quanto è dato di sapere, dallo stesso mons. Sacco, complice forse l'Abbruzzini di sempre....quello della chiesa di san Filippo Nero)
- insomma tra incapaci, corrotti, irresponsabili e cialtroni (tutti i livelli) Foggia ha perso un milione e 150mila euro e cosa peggiore la chiesa di san Tommaso resterà fatiscente e chiusa per altri almeno dieci anni...se non scoffolerà, visto come sta messa ora...
- SPERIAMO CHE QUALCHE TESTA SALTI (MAI SUCCESSO A FOGGIA ANCHE PER CASI PEGGIORI DI QEUSTO): è solo una speranza e nient'altro. 
- Ci dovremmo incazzare se a saltare saranno solo gli architetti, ultima ruota del carro
- PER ORA I PIU' INCAZZATI SONO QUELLI DEL COMITATO PER IL CENTRO STORICO...E NOI CON LORO
ECCO L'ARTICOLO CHE VI MANCAVA....LA STORIA HA UN SEGUITO....NON PERDETEVELO
E siamo alle solite. Un altro finanziamento, questa volta per restaurare la chiesa di san Tommaso, a Foggia, è sfumato per l’inettitudine dell’apparato curiale. Imputati il vicario generale e il suo architetto di fiducia. Almeno con l’ingegnere Pippo Cavaliere, la Cattedrale di Foggia ha rivisto lo splendore d’un tempo: dobbiamo dargli atto. Oggi, per il più classico rimpallo di responsabilità, siamo finiti con il culo per terra. Cosa che ha fatta andare su tutte le furie il vescovo di Foggia mons. Pelvi (ma non se li era scelti lui questi fidati collaboratori?). Non ci è bastata la brutta figura fatta davanti al mondo intero, sempre per colpa dei soliti incapaci, per le duemila sedie vuote alla canonizzazione della beata Maria Celeste Crostarosa, di qualche settimana fa. La città di Foggia, assente, avvertita male e con le cose in mano, come si dice in gergo, da qualche sparuto manifestino rimasto intatto affisso sui mura, nonostante il cambio di luogo e di orario. Insomma una cosa da pivelli. Oggi ci tocca registrare l’ennesima prova di inefficienza e incapacità operativa. Questa volta, speriamo che qualche testa salti, vista la tensione che si taglia a fette in quel di via Oberdan al n. 13. Una volta tanto non diamo la colpa al timoniere ma ai secondi e ai marinai, sì. Ma procediamo con ordine. Merito del neoeletto Assessore regionale Piemontese è stato quello di cogliere l’istanza degli abitanti del centro storico per il restauro della prima chiesa di Foggia, appunto san Tommaso, originaria cappellina che accolse il ritrovato quadro della Madonna dei Setteveli, ormai otto secoli fa. Un milione di euro e qualcosa in più, erano già pronti e stanziati per l’avviamento dei lavori. Si trattava di una prima tranche cui sarebbero seguite altre, com’è nella natura e nella prassi di queste cose. Ed ecco il colpo di genio di nostri pivelli: i soldi vengono rispediti indietro. Motivo? ”Perché troppo pochi”. L’argomentazione: “è come facciamo se poi i soldi finiscono?” Chi ci rimette il resto? La chiesa di Foggia non ha fondi per continuare da sola”. Restiamo di stucco dinanzi a tanta dabbenaggine. Si può immaginare il disappunto di Piemontese e dell’intero quartiere che chiede a gran voce la testa di questi incapaci. E’ da anni che la prima chiesa di Foggia resta chiusa. Si è usata per tutto questo tempo la vicina chiesa di Sant’Agostino, anch’essa bisognosa di restauri, ma non così fatiscente come san Tommaso. E quando una chiesa si chiude, questo lo si sa, è un mondo che inizia a sbandarsi e a sfilacciarsi: la gente di san Tommaso non va a messa in cattedrale, è stato il lamento del parroco, nonché responsabile dell’unità pastorale del centro cittadino. Conseguenza? Tutte le congreghe, vera anima del centro storico, custodi di beni architettonici di immenso valore rischiano la chiusura. E’ cominciata l’incetta di “preti mercenari”, come qualcuno li ha definiti, per assicurare almeno la messa domenicale (una volta non era così vista l’abbondanza di preti). E la gente pur ci va in queste chiese antiche. “Deve venire in parrocchia, la domenica. Queste congreghe devono avere solo le messe feriali” è stato il dictat lanciato in questi giorni. Certe teorie pastorali andrebbero prima spiegate e poi applicate, altrimenti sortiscono il solo effetto di far disamorare la gente per la chiesa. Si sa il cristianesimo è attualità, ma è anche e soprattutto storia: una religione che si tramanda per generazioni. Conservare le chiese, la memoria storica, è assicurare la vera forza del cristianesimo: a Camaldoli per abbattere un albero secolare ci voleva il pronunciamento del Capitolo generale: qui basta lasciar andare le cose a catafascio, per ottenere lo stesso effetto. Tornando alla storia del contributo regionale tornato indietro, si può immaginare il disappunto della gente del centro storico. Si minacciano manifestazioni davanti al palazzo vescovile, fiaccolate, occupazioni. Insomma l’irritazione è tanta. Anche per il modo con il quale se la sono fatti scappare questo sospirato contributo. Emiliano, il presidente della regione Puglia, è stato chiaro: questo era solo il primo di futuri finanziamenti. Rifiutarlo vuol dire rimettersi in coda. Chissà se fra dieci anni la ruota tornerà a girare ancora per Foggia e per San Tommaso. Non saranno certo tempi brevi. E di quella chiesa madre non resterà pietra su pietra. Già le crepe sul lato sinistro si evidenziano ogni giorno di più. I lavori erano urgenti e quanto mai necessari. Dire tanto le chiese al centro storico si sprecano e poi c’è sempre l’unità pastorale, che può compensare le tante chiese che si stanno chiudendo: non è una risposta intelligente e pastoralmente significativa. Le unità pastorali, sono oramai obsolete. Come al solito a Foggia si copia e si ripropongono cose che altrove hanno già fatto il loro tempo e a noi sembrano tanto attuali. Ci sono voluti molti anni per arrivare a questo finanziamento. Il pivello di turno se l’è fatto scappare. Ai foggiani resta l’amarezza di un restauro rinviato sine die. Così va la vita, e noi noi continuiamo con ostinazione a farci del male.



FACCIAMO A CHI PERDE PER PRIMO?
E siamo alle solite. Un altro finanziamento, questa volta per restaurare la chiesa di san Tommaso, a Foggia, è sfumato per l’inettitudine dell’apparato curiale. Imputati il vicario generale e il suo architetto di fiducia. Almeno con l’ingegnere Pippo Cavaliere, la Cattedrale di Foggia ha rivisto lo splendore d’un tempo: dobbiamo dargli atto. Oggi, per il più classico rimpallo di responsabilità, siamo finiti con il culo per terra. Cosa che ha fatta andare su tutte le furie il vescovo di Foggia mons. Pelvi (ma non se li era scelti lui questi fidati collaboratori?). Non ci è bastata la brutta figura fatta davanti al mondo intero, sempre per colpa dei soliti incapaci, per le duemila sedie vuote alla canonizzazione della beata Maria Celeste Crostarosa, di qualche settimana fa. La città di Foggia, assente, avvertita male e con le cose in mano, come si dice in gergo, da qualche sparuto manifestino rimasto intatto affisso sui mura, nonostante il cambio di luogo e di orario. Insomma una cosa da pivelli. Oggi ci tocca registrare l’ennesima prova di inefficienza e incapacità operativa. Questa volta, speriamo che qualche testa salti, vista la tensione che si taglia a fette in quel di via Oberdan al n. 13. Una volta tanto non diamo la colpa al timoniere ma ai secondi e ai marinai, sì. Ma procediamo con ordine. Merito del neoeletto Assessore regionale Piemontese è stato quello di cogliere l’istanza degli abitanti del centro storico per il restauro della prima chiesa di Foggia, appunto san Tommaso, originaria cappellina che accolse il ritrovato quadro della Madonna dei Setteveli, ormai otto secoli fa. Un milione di euro e qualcosa in più, erano già pronti e stanziati per l’avviamento dei lavori. Si trattava di una prima tranche cui sarebbero seguite altre, com’è nella natura e nella prassi di queste cose. Ed ecco il colpo di genio di nostri pivelli: i soldi vengono rispediti indietro. Motivo? ”Perché troppo pochi”. L’argomentazione: “è come facciamo se poi i soldi finiscono?” Chi ci rimette il resto? La chiesa di Foggia non ha fondi per continuare da sola”. Restiamo di stucco dinanzi a tanta dabbenaggine. Si può immaginare il disappunto di Piemontese e dell’intero quartiere che chiede a gran voce la testa di questi incapaci. E’ da anni che la prima chiesa di Foggia resta chiusa. Si è usata per tutto questo tempo la vicina chiesa di Sant’Agostino, anch’essa bisognosa di restauri, ma non così fatiscente come san Tommaso. E quando una chiesa si chiude, questo lo si sa, è un mondo che inizia a sbandarsi e a sfilacciarsi: la gente di san Tommaso non va a messa in cattedrale, è stato il lamento del parroco, nonché responsabile dell’unità pastorale del centro cittadino. Conseguenza? Tutte le congreghe, vera anima del centro storico, custodi di beni architettonici di immenso valore rischiano la chiusura. E’ cominciata l’incetta di “preti mercenari”, come qualcuno li ha definiti, per assicurare almeno la messa domenicale (una volta non era così vista l’abbondanza di preti). E la gente pur ci va in queste chiese antiche. “Deve venire in parrocchia, la domenica. Queste congreghe devono avere solo le messe feriali” è stato il dictat lanciato in questi giorni. Certe teorie pastorali andrebbero prima spiegate e poi applicate, altrimenti sortiscono il solo effetto di far disamorare la gente per la chiesa. Si sa il cristianesimo è attualità, ma è anche e soprattutto storia: una religione che si tramanda per generazioni. Conservare le chiese, la memoria storica, è assicurare la vera forza del cristianesimo: a Camaldoli per abbattere un albero secolare ci voleva il pronunciamento del Capitolo generale: qui basta lasciar andare le cose a catafascio, per ottenere lo stesso effetto. Tornando alla storia del contributo regionale tornato indietro, si può immaginare il disappunto della gente del centro storico. Si minacciano manifestazioni davanti al palazzo vescovile, fiaccolate, occupazioni. Insomma l’irritazione è tanta. Anche per il modo con il quale se la sono fatti scappare questo sospirato contributo. Emiliano, il presidente della regione Puglia, è stato chiaro: questo era solo il primo di futuri finanziamenti. Rifiutarlo vuol dire rimettersi in coda. Chissà se fra dieci anni la ruota tornerà a girare ancora per Foggia e per San Tommaso. Non saranno certo tempi brevi. E di quella chiesa madre non resterà pietra su pietra. Già le crepe sul lato sinistro si evidenziano ogni giorno di più. I lavori erano urgenti e quanto mai necessari. Dire tanto le chiese al centro storico si sprecano e poi c’è sempre l’unità pastorale, che può compensare le tante chiese che si stanno chiudendo: non è una risposta intelligente e pastoralmente significativa. Le unità pastorali, sono oramai obsolete. Come al solito a Foggia si copia e si ripropongono cose che altrove hanno già fatto il loro tempo e a noi sembrano tanto attuali. Ci sono voluti molti anni per arrivare a questo finanziamento. Il pivello di turno se l’è fatto scappare. Ai foggiani resta l’amarezza di un restauro rinviato sine die. Così va la vita, e noi noi continuiamo con ostinazione a farci del male. 

Mi piac