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OTTOBRE-DICEMBRE 2016
OTTOBRE-DICEMBRE 2016
LA BANDA BASSOTTI ALL'OPERA NELLA CHIESA DI FOGGIA-BOVINO
LA BANDA BASSOTTI DELLA CHIESA DI FOGGIA-BOVINO
Da ragazzo, come tutti i miei coetanei, divoravo ogni numero di “Topolino”, un giornaletto settimanale, multicolore e pieno di storie e di figurine, del mondo animale, che vivevano in un mondo a parte, a Paperopoli: una vera e propria città, popolata di tanti personaggi, che vivevano e agivano come persone del mondo reale, con gli stessi vizi e le stesse virtù. Un giornaletto per noi mitico, straordinario, anche se prodotto del mito americano, scodellato pari pari a noi, ignari bambini dell’epoca (erano gli anni 50-60). Ma questo l’abbiamo capito solo più tardi, quando anche quel mito cominciava ad andarci un po’ stretto. Ricordo che per godermelo di più non leggevo subito le nuvolette con le parole, ma seguivo le storie attraverso le immagini fino alla fine. Solo se non le capivo ci davo una seconda lettura. Un gioco e niente più. Tra i tanti personaggi di quel fumetto mi faceva impazzire la Banda Bassotti, una scalcinata banda di ladruncoli, copia dei famosi cagnolini beagles, pelle beage, nasone nero pronunciato e orecchie grandi, con le quali inciamparsi a ogni corsa. Era una banda di “fratelli”, tutti uguali, senza identità, un’associazione a delinquere, alla quale non gliene andava bene una: ogni striscia li vedeva puntualmente dietro le sbarre. Insomma una banda di sfigati. Perché tanta reminiscenza? Perché la banda bassotti è, nostro malgrado, ritornata di moda, diventando icona del nostro tempo. Una Banda Bassotti ha chiesto in questi giorni l’ennesima fiducia a camera e senato, dopo che la precedente fotocopia ha fallito miseramente. Ma visto che tratto spesso di cose di chiese, anche in quel contesto la Banda Bassotti colpisce alla grande. Ed ecco la storia, fuori dal fumetto. Avendo chiesto un anno sabbatico per motivi di studio e altro ancora, ho dovuto lasciare con un certo rammarico, sapendo benissimo in che mani di scombinati sarebbe finita la loro gestione, sia le Suore del Piccolo Seminario, in via Napoli, che la Confraternita di Santa Monica, in via Arpi, ubicata presso la chiesa di Sant’Agostino. Come era fin troppo prevedibile, entrambe sono state lasciate senza prete. Alle suore del Piccolo Seminario ne è stato promesso uno, in verità, il quale ha fatto subito sapere che si farà vivo dopo le feste di Natale (troppo lavoro per lui che è anche viceparroco da qualche parte di Foggia, oltre che cappellano presso la confraternita di san Giuseppe, in via Manzoni). Per la chiesa di sant’Agostino il percorso si è da subito fatto più tortuoso. Il parroco della cattedrale ha fatto sapere ai richiedenti che preti per “coprire” quella confraternita non ne ha, e che in ogni caso, ha aggiunto minaccioso: “nessun altro prete potrà dire la messa in quella chiesa, senza il suo esplicito permesso”. A Foggia si dice “curnut’e e mazziet’e”. Andate dal Vicario Generale, è stata la risposta alle loro insistenze. “Niente preti”, ha detto mons. Filippo Tardio, il vicario. “Come niente preti?” Si sono detti i questuanti “cappello in mano”. “A San Giuseppe Artigiano (la parrocchia del Vicario) ci sono ben tre preti che nei giorni feriali addirittura concelebrano. Don Orazio (uno dei tre, da sempre amico della confraternita) potrebbe venire a celebrare da noi”, hanno fatto notare. “Non se ne parla proprio. Andate dal vescovo”, è stata anche questa volta la risposta un po’ piccata del Vicario Generale. Si sono arresi, vista come il vescovo Peli ha trattato quelli della chiesa di san Luigi. Insomma quanto più volte denunciato dalle colonne di questo giornale, a Foggia, qualcuno una volta messo a posto la propria pancia, diventa insensibile ai problemi altrui. Tutti gli ufficiali di curia, o quasi, hanno uno o due viceparroci al servizio. Loro in effetti sono multitasking dai molteplici incarichi, da aver bisogno non di uno ma spesso di due viceparroci o collaboratori, diaconi compresi. This is the end. Questo è solo l’avvio della fine. Quello che sta succedendo a Santa Monica, presto avverrà anche per le altre confraternite, che se trattate così non potranno che chiudere. Mentre quella di san Giuseppe Artigiano, quella del vicario generale, è assunta alle cronache cittadine per gestioni non proprio trasparenti dei nuovi loculi al cimitero. Ma questa è un’altra storia semmai per un altro articolo. La faccenda di oggi è chiara: saranno sempre i più deboli, come i confratelli di santa Monica, a dover abbozzare. Loro caparbi si sono mossi a cercare altri preti disponibili, ma il dictat del parroco della cattedrale è stato come una condanna a morte e un taglio di gamba: “nessun prete...senza il mio permesso”, manco fosse una riserva di caccia, o una riserva indiana, e senza alcun riferimento al diritto canonico, ad usum delfini: sono ormai legge a se stessi questi della cattolica Banda Bassotti. Un ripensamento di tutto il sistema clericale a servizio delle comunità, che non siano sempre e solo quelle parrocchiali non è dato sapere, non si fa né si ipotizza, preferendo convegni su famiglie e giovani (che novità?). Sarebbe chiedere troppo a questa banda bassotti, ritrovatisi fratelli beagles, cui, purtroppo, è toccato in sorte la gestione di questa delicatissima situazione, della scarsità di clero. Mostrando solo incapacità e incompentenza: un male non solo foggiano ma di tutto l’orbe cattolico. Da noi non si va oltre la punta del naso, troppo grosso da coprire ogni altro orizzonte, e, da sempre, si fa figli e figliastri. E’ questo che a volte fa l’amara differenza.
LA LENTA AGONIA DI UNA CHIESA CHE NON VUOLE CAMBIARE...
L'ATTACCO DEL 3 DICEMBRE 2016
Nella storia dell’umanità, si sono succeduti, profeti o cassandre annunciatori di imminenti catastrofi, puntualmente inascoltati. Un testo biblico di riferimento è quello di Luca 17: “Come avvenne al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano: ma nel giorno in cui Lot uscì da Sodoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece perire tutti. Così sarà nel giorno in cui il figlio dell’uomo si rivelerà”. Cui fa eco quello di Matteo 25: “Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’Uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio, mangiavano, bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entro nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del figlio dell’Uomo”. Anche profeti “laici” non si sono sottratti al genere catastrofistico biblico. Così Ciai profeta in Assisi: “La città si svuoterà. Le notizie scemeranno e di disperderanno al vento la stampa si inaridirà e sparirà. Si lamenteranno e faranno lutto i pescatori di notizie e si lamenteranno e rimarranno desolati i pescatori di uomini. Industriali, commercianti e disegnatori di moda saranno confusi e impallidiranno. L’economia crollerà e gli operai resteranno sgomenti”(da Profetizza, Marcello Ciai, 1995). Applicare questo catastrofismo di maniera alla nostra epoca, alla nostra città e alla nostra chiesa locale, è un gioco fin troppo facile. Ci cimentiamo lo stesso. Troppi sono i segnali di una fine ormai prossima. Essere inascoltati fa parte dello stesso gioco. Ci cimentiamo ugualmente a partire da un settore della vita umana a noi più vicina e meglio conosciuta: la vita della chiesa. A Foggia, a dire il vero, anche quella laica, del versante politico-sociale-economico non da meno da pensare, di una prossima fine di questo sistema di cose. E’ dai tempi di De Giorgi, per poi scivolare a quelli di oscuri di Casale e proseguire con quelli insignificanti di Tamburrino e finire a quelli di Pelvi, che si nota un continuo lento inesorabile scivolare verso la fine di un certo sistema di cosa, e un certo sistema di chiesa. Il concilio è stato uno scossone per la Chiesa, ma i vecchi volponi, abituati a terremoti ben peggiori, sono sobbalzati per un po’ per poi ritornare alle loro abitudini, a vivere proprio come ai tempi di Lot e di Noè: mangiavano, bevevano, prendevano moglie e marito e la fine perirono tutti senza scampo. E quali sono i segni di questa imminente fine di un certo tipo di chiesa? L’estinguersi della casta sacerdotale, per iniziare da una qualche parte. Possibile che nessuno si accorga che il numero dei preti sta sempre più scemando? E questo non solo nei seminari nei quali entrano sempre meno giovani ma anche a riguarda dell’età del clero sempre più anziano se non demotivato. Come si risponde a questa provocazione? A Foggia, con mons. Pelvi (e non solo) si risponde con la politica del “tappabuchismo” parrocchiale, della serie basta che le parrocchie siano coperte pur che sia. Per il dopo? “Apré moi le deluge” disse un altro grande della storia. E’ il presente che va salvaguardato ad ogni costo, per il futuro “dio provvede”, dice anche la Bibbia. E per fare questo rattoppo si manda allo sbaraglio, come già Hitler alla fine del secondo conflitto mondiale, preti freschi di ordinazione, con troppe teorie e poca pratica pastorale, poca solidità psichica e religiosa. Ma poco importa “the show must go on”, dicono gli americani, cioè che la farsa continui, diciamo noi più mestamente. Non un momento di ripensamento, un guardare oltre la punta del naso, un colpo di reni e un fermarsi per ragionare a freddo e scegliere la strada migliore per uscire da questo empasse. Più semplicemente l’empasse non viene percepito o lo si considera troppo traumatico o troppo impegnativo per questi vestali da fine impero o monsieur travet da impiegati comunali . Proprio come ai tempi di Lot e di Noè, si preferisce andare avanti, pur che sia, ignorando il problema. Meglio dire che non è malato, che preoccuparsi di curare. Un caso emblematico: in tutto il mondo cattolico i seminari minori si chiudono, vista la loro quasi assoluta inutilità. A Foggia no. Si tiene aperto uno stabile immenso, semivuoto (e i poveri e gli sfrattati dove li mettiamo?), pensato per duecento seminaristi che ne contiene sei o sette, dei quali, negli ultimi dieci anni, nessuno, ma proprio nessuno, è andato oltre le scuole medie, o al massimo il liceo, senza mai approdare al seminario maggiore (quello di Molfetta, strapieno in verità per un sud che vuole sempre e in ogni caso emergere e risalire la penisola: solo un altro segnale di una fine imminente: motus in fine velocior dicevano gli antichi. Il movimento alla fine se fa persino più veloce). Un altro segnale della fine imminente sono le tante confraternite, dai vestiti sempre più simili a un triste carnevale, abbandonate a se stesse e la cui agonia è sotto gli occhi di tutti. Eppure sono le uniche realtà ancora ferme a conservare quello che è e rimane l’essenziale della vita cristiana: “sacralità e servizio”, senza ulteriori fronzoli di sapore socio-pastorale. Alle agonizzanti confraternitesi preferiscono le parrocchie, non meno malate e prossime alla fine, ridotte come sono al raccatto di vecchi e bambini, considerando tali, anche quei ragazzini delle scuola medie, inferiori e superiori, che pur vi soggiornano come utenti di uno spazio di socializzazione, in attesa di un prossimo e inesorabile esodo, o fuga che meglio si addice alla situazione. Non è un caso che il piano pastorale diocesano sia ancora il ripetitivo “famiglie e giovani”. Ad esso fa da supporto uno stanco parrocchialismo, o tappabuchismo. Mancano i preti? In vece di chiudere e ripensare l’intero sistema, si accorpano parrocchie e le si dà l’altisonante e vuoto titolo di “unità pastorali”, una parola che dice tutto e niente. C’è sempre e solo un prete, un parroco, che prima aveva una chiesa da accudire e ora ne avrà tre o quattro, come per l’unità pastorale del centro storico di Foggia. La cattedrale, che ingloba la vecchia parrocchia di san Francesco Saverio e San Tommaso (chiusa ab immemorabili). Alla stessa povera persona dovrebbero far capo anche una decina o poco meno di confraternite che hanno le loro cappelle nel territorio parrocchiale. Un altro segnale dell’ormai prossima fine di questo genere di cose è l’impostazione elefantiaca delle curie diocesane: diecimila uffici autoreferenziali e spesso del tutto inutili al territorio, modellate sull’altrettante elefantica curia della Conferenza Episcopale Italiana. Meno c’è vita è più ci s’illude che l’organizzazione la possa supplire o far rivivere. Anche in questo campo un ripensamento andrebbe proposto, per impedire che la macchina, ancora gestita da un clero che non molla un briciolo del suo potere clericale, vada a folle velocità contro un muro che è la storia futura. Si dirà che siamo al catastrofismo di maniera. Come non dar loro torto? Concludiamo con l’ultima citazione biblica non meno catastrofica: “«Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?» (Lc 18,8): chi ha orecchi da intendere intenda.