Articolo da non perdere: Attacco 30 aprile 2016
Mi è stato chiesto di scriverne qualcosa sulla nostra città e i suoi tanti, tantissimi problemi per i quali non si vede alcuna via d’uscita. Ci si può consolare, che nell’ottica papale, alla quale mi sono ispirato, i nostri problemi sono poi i problemi di tutto il mondo, della serie, neanche in questo a Foggia riusciamo ad essere originali. Più puntuale mi è parsa la disanima del vescovo di Agrigento, il Card. (pugliese di origine) Francesco Montenegro, così i soliti la smetteranno di dire che ho sempre e solo puntato i fari sul locale mons. Pelvi, che di queste disamine finora non è che ne abbia fatte molte. Ma diamo tempo al tempo. Ne è uscita così, non voluta, una lettera aperta sullo status, laico e religioso della nostra città. Per cominciare ai “membri di gruppi criminali”: per il loro bene, dice il papa, cambino vita, e non restino indifferenti di fronte alla chiamata a sperimentare la misericordia di Dio. Il denaro non dà la vera felicità, è solo un’illusione”, “la violenza usata per ammassare soldi che grondano sangue non rende potenti, né immortali” e “nessuno potrà sfuggire al giudizio di Dio”. Non meno forte è il richiamo di Bergoglio a “fiancheggiatori” e ai “corrotti” (pensava a Foggia?): è questo il momento favorevole, anche per voi, per cambiare vita! E’ sufficiente accogliere l’invito alla conversione e sottoporsi alla giustizia, mentre la Chiesa offre la misericordia”. La corruzione è “piaga putrefatta della società, grave peccato che grida verso il cielo, perché mina fin dalle fondamenta la vita personale e sociale”; è “un accanimento nel peccato, che intende sostituire Dio con l’illusione del denaro come forma di potenza; è “un’opera delle tenebre, sostenuta dal sospetto e dall’intrigo”; è una tentazione dalla quale “nessuno può sentirsi immune”. Ai cristiani: debellate tale piaga “dalla vita personale e sociale”, usando “prudenza, vigilanza, lealtà, trasparenza, unite al coraggio della denuncia”. Altro appello è per i fratelli delle comunità ebraiche e dell’Islam (illustri nostri sconosciuti concittadini): perché si ricordino che misericordia è “uno degli attributi più qualificanti di Dio”. “Nessuno può limitare la misericordia divina, poiché le sue porte sono sempre aperte”. Ai cristiani: “siate più aperti al dialogo, eliminando ogni forma di chiusura e disprezzo ed espellendo ogni forma di violenza e di discriminazione”. Infine a chi teme che la misericordia neutralizzi la giustizia, il papa ricorda che “non sono due aspetti in contrasto tra loro, ma due dimensioni di un’unica realtà”, che si sviluppano fino a raggiungere l’apice “nella pienezza dell’amore”. Gesù mostra “il grande dono della misericordia che ricerca i peccatori per offrire loro il perdono e la salvezza”. “La giustizia di Dio è il suo perdono”, è questo “il primato della misericordia”, perché “non è l’osservanza della legge che salva, ma la fede in Gesù Cristo”. La misericordia non sarà mai contraria alla giustizia”, perché tramite essa Dio offre al peccatore, che fa male al suo prossimo, la possibilità di “ravvedersi, convertirsi e credere”. Non svalutiamo la giustizia o non la rendiamo superflua: “chi sbaglia, dovrà scontare la pena”. Ma che questo non sia il ”il fine, ma l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono”. “L’amore è a fondamento di una vera giustizia”. Di diverso tenore il discorso di mons. Montenegro (nato a Messina 68 anni fa, ma il padre era carabiniere originato di Barletta). Punta i dito diritto a una chiesa non al passo con i tempi e fa un quadro della situazione sociale, che solo sfiora le parrocchie di Agrigento. E quelle di Foggia? Su 55 solo 5 riescono a fare qualcosa per i poveri, con mense, distribuzione di viveri, e di vestiti. Dice Montenegro che oggi l’attenzione prima va posta per i nostri fratelli immigrati, perché rifugiati e perseguitati, e che, sempre più numerosi, vanno a sommarsi ai nostri poveri di casa nostra. Che i cristiani non chiudiamo gli occhi davanti a ciò che accade loro vicino e nel mondo; si rendano conto dei nostri poveri e di quanti arrivano da altre terre segnate da fame, persecuzioni e guerre. I poveri sono la proposta forte che Dio fa alla nostra Chiesa perché essa cresca nell’amore e nella fedeltà. Cosa si fa si domanda l’Arcivescovo agrigentino per i tanti problemi del nostro tempo: la mancanza di lavoro per tanti giovani, la disperazione di tante famiglie che non riescono ad andare avanti, l’assenza di prospettive, le difficoltà di tanti anziani che ricevono pensioni insufficienti...E’ una sfida, dice, a saper guardare guardare vicino e lontano; a saper guardare tutto con gli occhi di Dio e a pensare che il terreno dove cresce il Vangelo non è mai stato il cortile dove ci si rinchiude o l’orticello che dà sicurezza, ma il mondo, quello spazio così ampio da sfiorare il Cielo o, addirittura, da diventare un tutt’uno con esso. “Cristiani delle nostre realtà ecclesiali” uscite fuori da un confine troppo stretto e sentitevi parte di un mondo più grande. Fuori dai nostri confini in tanti ci guardano con interesse e capiscono che qui sta avvenendo qualcosa di epocale. Abbiamo delle gravi responsabilità: dovremo convincerci! E che dire delle nostre paciose comunità parrocchiali. Il prelato ha parole forti anche per loro. I ritmi ben stabiliti (catechesi, liturgie, feste...) e la pastorale nel suo insieme sono ormai cadenzate dall’abitudine e dalla ripetitività…quasi scolastica. “Si tratta di fare altre cose?”, si domanda, o cambiare “strategia pastorale?” Non proprio. Però il Signore ci sta chiedendo di fare entrare il mondo nel nostro piccolo mondo! Il mondo sta cambiando, stanno cambiando i processi sociali, stanno cambiando i linguaggi... e noi? Continuiamo a proporre le stesse cose di cinquanta o sessanta anni fa? E’ giunto il tempo di cambiare mentalità, e di mettere il Vangelo accanto e dentro ogni realtà che cambia. E che dire dei giovani sempre più lontani dai nostri ambienti religiosi? Chiediamoci perché ciò accade, incalza mons. Montenegro, visto che fino alla Cresima li abbiamo avuti quasi tutti in parrocchia. Siamo stati capaci di farli innamorare di Cristo? Forse non è bastato aver fatto qualche segno durante gli incontri di catechesi, pensando che fosse sufficiente qualche euro da dare ai poveri nel giorno della Prima Comunione e della Cresima; forse non è stato sufficiente averli rimproverati perché non sono stati sempre presenti. Forse avremmo dovuto aiutarli a leggere meglio il loro mondo, il loro territorio, la loro corporeità, il loro desiderio di innamorarsi. Se fossimo riusciti a mostrare che la Parola che leggevano durante l’incontro settimanale aveva una traduzione quotidiana nel povero, nel sofferente, nella loro stessa vita... forse qualcosa sarebbe cambiato. Non bastano le lettere del papa o dei vescovi a cambiare il mondo o la chiesa. Va dato riconoscimento che per lo meno, non dicono sempre rosari e non fanno solo processioni
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Fausto Parisi
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