sabato 7 novembre 2015

CHIESA E OMOSESSUALITA': L'ATTACCO DELL'8 OTTOBRE 2015

CHIESA E OMOSESSUALITA'

Monsignor Krzysztof Charamsa, 43 anni, sacerdote polacco e teologo di primo piano nella Congregazione per la dottrina della fede, ha fatto coming out: “sono omosessuale e sono felice di esserlo”. Se la cosa fosse fatta in tempi non sospetti, cioè non a ridosso dell’apertura del sinodo sulla famiglia, avrebbe suscitato un certo scalpore ma non più di tanto. Invece l’occasione colta non può che far arricciare il naso. E ha ragione padre Lombardi, che a onor del vero non sempre mi convince nei suoi interventi da sala stampa del Vaticano e da portavoce del papa, a dichiarare il gesto “grave e non responsabile, nonostante il rispetto che meritano le vicende e le situazioni personali e le riflessioni su di esse”. Il sospetto è fin troppo lecito: per conto di chi e a favore di chi ha agito questo monsignore di curia? Di papa Francesco, che vuole sui divorziati e sui gay maggiore apertura da parte della chiesa cattolica, o da quelli che gli remano contro? Sarà troppo facile, per questi ultimi, ribattere al papa che le sue apertura portano a gesti così eclatanti e fuorvianti per la comunità cristiana. Anche per noi, con mille distinguo, rimane un’uscita ambigua e intempestiva. E’ bene che la “Chiesa apra gli occhi di fronte ai gay credenti e capisca che la soluzione che propone loro” e che “l’astinenza totale dalla vita d’amore, è disumana”, ha detto mons. Charamsa, e siamo tutti perfettamente d’accordo, ma perché dirlo proprio ora, alla vigilia di un evento tanto delicato della storia della chiesa, come il sinodo sulla famiglia (già fonte di contrasti fin dal suo preludio vaticano)? A chi giova veramente una tale sortita: “non penso, ha detto Yayo Grassi, il discepolo gay di papa Bergoglio, che abbia fatto alcun favore alla causa dei gay o a Papa Francesco. La sua tempistica è stata sbagliata, il modo in cui ha parlato è stato sbagliato. Parlare di omosessualità in questo momento serve solo a distrarre la gente dagli altri temi importanti sollevati da Bergoglio: l’ambiente, la famiglia, la povertà, condividere quello che abbiamo con chi non ha niente”. E noi stiamo con papa Bergoglio e le sue battaglie, avviate all’indomani della sua elezione, un po’ meno sulle posizioni del teologo dell’ex sant’Uffizio, che, purtroppo per lui, pagherà a caro prezzo un tale gesto e di questo sinceramente ne siamo dispiaciuti, perché, ha prestato il fianco a una chiesa e un mondo cattolico “ottuso e retrogrado”, che mentre “commette tante porcherie quando ruba e quando imbroglia, e poi diventa 'di naso fine' quando si entra nel campo della sessualità” come ha ben chiosato mons Casale, che di maneggiamenti e imbrogli se ne intendeva parecchio. “La grazia di Dio non alza la voce” ha detto Bergoglio. E “se non sappiamo unire la compassione alla giustizia, finiamo per essere inutilmente severi e profondamente ingiusti”. E’ proprio contro questa chiesa “inutilmente severa e profondamente ingiusta” che spesso e volentieri ci si trova in contrasto. Una chiesa che oggi non sembra capire né accetta l’amore omosessuale, che persino san Tommaso difendeva proprio in quanto nella linea dell’amore. Ci siamo forse dimenticati le sue lezioni sui “peccati per troppo amore” da comprendere e perdonare ancor prima e molto di più dei peccati dettati dall’odio e dalla violenza? Qualche altro si è anche dimenticato il detto evangelico: “misericordia voglio e non sacrifici”? Oggi nella chiesa, purtroppo, c’è ancora troppa gente che scherza con il fuoco “della verità e della giustizia”, utilizzati sempre più in senso filosofico e stoico, quando non giuridistico, anziché evangelico. “Verità di amore” non è quella astratta definizione che fino a non molti anni (1982) il diritto canonico “concedeva” al solo matrimonio celebrato in chiesa, primariamente finalizzato alla sola procreazione e concepito “come rimedio alla “concupiscenza, conseguenza del peccato originale di Adamo ed Eva. C’è voluto il nuovo diritto canonico, bontà sua, a richiamare l’amore sponsale (e sessuale) tra due persone che si amano, come scopo primario del matrimonio oltre alla procreazione. E qualcuno vorrebbe che si aggiungesse: “indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, pur sempre dono di natura, etero o omo che sia”. Ecco perché ci pare fuori luogo l’intervento intempestivo del prelato romano: rischia di bruciare tappe, di forzare tempi, di creare scalpore e eccessiva attenzione mediatica, per temi che come dice Bergoglio hanno bisogno di una chiesa “che è famiglia e sa porsi con la prossimità e l’amore di un padre, che vive la responsabilità del custode, che protegge senza sostituirsi, che corregge senza umiliare, che educa con l’esempio e la pazienza. A volte, semplicemente con il silenzio di un’attesa orante e aperta. Soprattutto, una Chiesa di figli che si riconoscono fratelli non arriva mai a considerare qualcuno soltanto come un peso, un problema, un costo, una preoccupazione o un rischio: l’altro è essenzialmente un dono, che rimane tale anche quando percorre strade diverse. È casa aperta, la Chiesa, lontana da grandezze esteriori, accogliente nello stile sobrio dei suoi membri e, proprio per questo, accessibile alla speranza di pace che c’è dentro ogni uomo, compresi quanti, provati dalla vita, hanno il cuore ferito e sofferente”. Noi stiamo con Bergoglio. 


sull'Omosessualità nella chiesa
Il tema dell’omosessualità è da sempre un prurito nella chiesa, e non solo cattolica: anche se nella chiesa valdese sembra essere oramai pacificamente accolto. La lettura più benevola considera l’omosessualità una malattia (per lo più congenita, se non conseguenza della caduta dei progenitori), quella più gretta la considera un peccato. I primi pensano che si debba e si possa curare. Non si sa come. I mezzi finora posti in essere sanno di museo degli orrori. I secondi dicono che se anche c’è la tendenza, e può essere un fatto naturale, in ogni caso diventa “peccato” quando dalla pura tendenza (come del resto quella eterosessuale) si passa alla pratica sessuale, peccato prima e fuori del matrimonio e peccato in ogni caso se omosessuale. Lasciando agli esperti il giudizio finale su questa importante diatriba un dato è incontestabile l’omosessualità è molto diffusa anche tra il clero, di sempre e non solo di oggi, ed è una cosa risaputa. Qualche prete, a dire il vero, confonde ancora omosessualità e pedofilia. "La pedofilia posso capirla, l'omosessualità non so", ha detto don Gino Flaim in quel di Trento: “purtroppo ci sono bambini che cercano affetto perché non ce l’hanno in casa e magari se trovano qualche prete può anche cedere. E lo capisco". E via con la sospensione a divinis della curia: siamo alla paranoia. La pedofilia è per lo stato italiano un reato, l’omosessualità no, almeno non ancora, contrariamente a chi vorrebbe, invece, considerarla tale. Dalle nostre parti più di un sacerdote è stato condannato per tale reato. Per altri casi simili le famiglie hanno preferito soprassedere e ritirare la denuncia. E non erano casi isolati. Come non ricordare l’eccessiva affettuosità di certi prelati per i piccoli ospiti del locale seminario: sublimata pedofilia dice qualche maligno, può darsi ma la scena non era certo edificante. Mons. Ruini ha detto a proposito dei preti disumanizzati da una sessualità repressa che: “come prete ho anch’io l’obbligo di tale astinenza e in più di sessant’anni non mi sono mai sentito disumanizzato, e nemmeno privo di una vita di amore”. E contento lui, contenti tutti. Non tutti, però, vivono l’astinenza sessuale alla maniera di mons. Ruini, che forse è riuscito a sublimarla con l’esercizio spregiudicato del potere, sia esso religioso che politico. La storia vera è invece un’altra ed è condita di allusioni e ammiccamenti del più classico “io so che tu sai che io so”, e così tutti stanno coperti e ben allineati, sotto un’ipocrisia diffusa e rigorosa consegna del silenzio. E perché dell’utilizzo di “siffatte notizie” qualche vescovo passato è pur riuscito a tacitare chi osava contrastarlo più del dovuto. La storia è fatta perciò di “si dice” e nulla più. Ma se si dice forse qualcosa e più di qualcosa sotto sotto c’è. E il percorso inizia con preti di curia, che si accompagnano con l’amico fisso, l’”amico del cuore”: è troppa la frequentazione tra i due e da molti, anzi moltissimi, anni, per non far sorgere il sospetto. Si sa anche di vacanze fatte assieme, di viaggi eccetera, ma qui finiamo nel pettegolezzo. Se poco si fa il giro per la zona off limits dei “cavalli stalloni”, luogo poco illuminato e molto congeniale a incontri ravvicinati del terzo tipo, non è raro incontrare a tarda notte preti, rigorosamente in borghese, che ci fanno quattro passi da quelle parti, oppure in macchina, così a rimorchiare: “e che è proibito ai preti fare quattro passi da quelle parti?”, è stata la difesa di uno sgamato da quelle parti, attorno alle due di notte. Si sa di altri da poco assunti agli onori degli altari (nuovi incarichi offerti da un vescovo evidentemente poco informato), che hanno dovuto lasciare in fretta e furia, si direbbe seduta stante, seminari e parrocchie, perché colti in flagranza di reato, per frequentazioni poco congeniali all’”astinenza sessuale” di ruiniana memoria. I maligni parlano di “trenini”, da non confondere con i giocattoli per bambini. Altri parlano di amicizie morbose con ragazzi, che se non necessariamente macchiate di pedofilia, per svincolarle si è dovuto ricorrere a mezzi drastici, con l’uscita dal seminario di entrambi: uno a casa, l’altro in parrocchia sotto stretto controllo. Così pure si sa, nel senso che tutti lo sanno, che qualcuno abbia prima ospitato l’amico del cuore in canonica, e al primo litigio sia stato lui invitato ad andarsene con tanto di carabinieri, perché si trattava di una casa popolare, e si sa che chi vi risiede stabilmente ne diventa proprietario. E’ successo anche questo. Qualcuno potrebbe dire: “ma come, la curia sapeva di queste cose e non è mai intervenuta?”. La risposta è semplice: tutti sanno ma forse nessuno ha interesse a parlarne. Si preferisce sorvolare. La pedofilia, si è detto, è un reato, mai giustificabile, checché ne dica il prete tridentino. Non lo è l’eterosessualità e l’omosessualità. E i figli di preti pur si sprecano da queste parti. E’ forse giunto il tempo di smetterla di combinare sacerdozio e astinenza sessuale, che tanto piace a mons. Ruini, lasciando libertà ai preti di sposarsi, e perché no anche di avere relazioni omosessuali. Forse vedremo qualche prete sorridere di più e, semmai, masturbarsi di meno, o fare surfing per le pagaie proibite di internet. Per buona pace di chi li vorrebbe casti come angeli. Sembra che sulla terra si possa essere angeli senza essere necessariamente casti. 


Sulla sortita di mons. Casale 


Mons. Casale non smette di stupire per la lucidità delle sue analisi. Il vizio è pur quello di sempre: predicare bene e “aver razzolato male”, anzi “malissimo” quando viveva da queste parti. Nessuno ha mai negato la lucidità a volte delle sue analisi e affermazioni, si è molto dubitato della linearità di certe sue scelte e prese di posizione come per il piano regolare di Foggia, l’amicizia neanche troppo nascosta con la ditta Zammarano e figli, e altre amenità del genere. Ma questa sua ultima intervista merita attenzione per il tema scelto e le cose dette. “Bisogna creare una mentalità nuova in un mondo cattolico chiuso, retrogrado, che commette tante porcherie quando ruba e quando imbroglia, e poi diventa 'di naso fine' quando si entra nel campo della sessualità, che è la bellezza di Dio in noi”. Ben detto. Chiara mi pare anche l’evidenziazione del puntum dolens del catechismo della chiesa cattolica, che “ai paragrafi 2358 e 2359, afferma che “l'omosessualità non è indicata come un male, come un peccato, bensì come una realtà che bisogna accettare. Però, allo stesso tempo, è considerata una tendenza che non va esercitata. Il Catechismo è rimasto fermo su questa posizione e secondo me qui c'è una contraddizione evidente”. Piace pure la sua visione della sessualità che non può essere solo genitale e finalizzata alla procreazione, ma è fatta di relazioni, amicizie, amplessi”. Finalmente anche una parola positiva sull’omosessualità che per Casale è “un diverso orientamento sessuale che mette in evidenza un rapporto affettivo, di stima, tendenzialmente duraturo nel tempo. Un rapporto che consente di affrontare in comune i problemi della vita e che spesso riesce a non cadere in quella sessualità esasperata che oggi colpisce tanti matrimoni eterosessuali, che purtroppo falliscono.”. Anche mons. Casale sa che il mondo cattolico non è pronto a queste affermazioni e che “La Chiesa non deve mettere il naso tra le lenzuola delle persone. Lasciamo che le persone vivano la loro sessualità come credono, nell'affetto, nello scambio di un abbraccio, di un bacio, di quello che vogliono. Anche questo è sessualità”. Fa impressione la lucidità di questo ultranovantenne, che ha da dire la sua pure sui divorziati risposati: “dire che un divorziato è in stato di peccato per me è una cosa che non sta né in cielo né in terra”. Libero a tutto campo, come non lo è forse mai stato prima. Anche se il suo tradizionale andirivieni, di matrice gesuitica, non si smentisce neanche questa volta: “monsignor Charamsa, come prete, era tenuto a osservare il celibato. Lo aveva scelto e quindi, indipendentemente dal suo orientamento, non avrebbe potuto vivere una vita sessuale normale”… C'è una differenza. Io penso che sia sbagliato vietare la sessualità a chi può legittimamente esercitarla. Vale a dire, a un omosessuale che non ha promesso il celibato, che non ha fatto voto di castità, e che oggi se volesse potrebbe sposarsi”. Ma forse l’intervista andrebbe ripresa per intero, per i tanti punti stimolanti in essa

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