sabato 7 novembre 2015

L'OTTO PER MILLE E LE ALLEGRE GESTIONI DIOCESANE: L'ATTACCO DEL 7 NOVEMBRE 2015

LA CHIESA DELLE ALLEGRE FINANZE

L’avvio di questi spunti di riflessioni ci è dato dallo stesso papa Bergoglio. Qualche mese fa, o forse prima, avendo sentore che nella curia romana ci fosse una gestione economica piuttosto allegra e disinvolta, ha istituito una commissione per controllare entrate e uscite del bilancio vaticano. Una delle tante commissioni, diciamo periodiche, che ogni papa ha sempre posto in essere per verificare problemi e trovare soluzioni. Fin qui dunque nulla di straordinario o di “extravagante”. Il problema si complica quando alcuni filoni di questa inchiesta sfuggono al controllo degli stessi componenti della commissione, e grazie ai soliti corvi che in curia romana non sono mai mancati, tali documenti sono stati fatti trapelare (ad arte diciamo noi) e sono finiti in due libri, pubblicati proprio in questi giorni. Ed ecco lo scandalo, che poi scandalo, non è, come lo stesso papa ha tenuto a precisare, utilizzando un paragone ardito ma molto efficace: “sulle ferite va messo l’acqua ossigenata o il disinfettante, che sul momento può anche “soffriggere e far soffrire”, ma è quanto mai necessario, (“non abbiate paura del conflitto”), solo così si possono curare le ferite, altrimenti si rischia il peggio”. E’ in linea con quanto uscirà sul numero di sabato 7 novembre de La Civiltà Cattolica (un caso?) che riporta un discorso di José Mario Bergoglio, allora gesuita argentino, in un convegno di studi sui quattrocento anni di presenza gesuitica in Argentina. Un brano profetico? O piuttosto uno stile conservato coerente, fino ad oggi che quel Bergoglio è diventato papa Francesco? Ecco alcuni brani di quella prolusione: “Il coraggio ha un enorme nemico: la paura. Paura che, nei confronti degli estremismi di un segno o dell’altro può condurci al peggior estremismo che ci possa essere: “l’estremismo di centro”. “Innanzitutto, prosegue Bergoglio, la santità implica che non si abbia paura del conflitto; implica parresia, come dice san Paolo. Affrontare il conflitto non per restarvi impigliati, ma per superarlo senza eluderlo”. Fin qui papa Bergoglio. Anche a Foggia si ha da tempo sentore di una allegra gestione delle finanze locali, fin dai tempi di Casale, per la quale più volte è stata chiesta una commissione d’inchiesta, senza esito alcuno. In compenso, c’è stato qualche vicario generale che è saltato per la sua insistenza nel richiedere i libri contabili relativi all’otto per mille, durante quella tenebrosa gestione. Diciamo un incidente di percorso: libri non in mano all’economo diocesano, ma “custoditi” personalmente dal vescovo nelle sue segrete stanze, e “mai più ritrovati”, parole testuali di mons. D’Ambrosio successore di Casale. Come nebulosa rimane la debitoria da lui lasciata in eredità alla diocesi di Foggia, alla quale sembra far riferimento lo stesso mons. Pelvi, quando afferma, in più occasioni, in maniera piuttosto generica e allusiva: “che tutto l’otto per mille va a coprire i debiti lasciati da mons. Casale, e mai risolti fino a mons. Tamburrino”. Ci siamo fatti prendere dal prurito di andare a verificare queste affermazioni. L’unico modo è stato quello di controllare le “Erogazioni delle somme derivanti dall’otto per mille dell’irpef ”, pubblicate su “Vita ecclesiale”, l’organo ufficiale della diocesi di Foggia-Bovino dal 2010 al 2015. Se l’otto per mille viene speso tutto per coprire i debiti, una qualche traccia pur ci dovrà essere tra quelle carte. Debiti, sia ben chiaro, sempre non dichiarati ufficialmente, sempre tenuti nascosti, e perfino negati, dagli allora collaboratori di Casale, e in parte di Tamburrino. Essi sono almeno tre, quelli di una certa entità. Primo. l’affare Società “San Giuseppe Artigiano”, fatta nascere per “fornire piantine di pomodori” agli agricoltori locali. Spese per macchinari e capannoni vari, in tutto novecento milioni (non c’era ancora l’euro), richiesti alla banca ipotecando i novanta ettari di terreno agricolo, in quel di vado Biccari, donazione della signora Anglisani, dote per la vita del Piccolo seminario diocesano, retto dalle Oblate del Sacro Cuore di Gesù. Fallita come era nell’aria la società, intanto si sono persi i novecento milioni, e si è insolventi verso la banca che fra non molto si prenderà l’ipoteca. Altra donazione della signorina Franchini, una consacrata laica, circa due miliardi dei quali seicento milioni destinati alla costruzione della chiesa dell’Annunciazione, costata alla fine più di un miliardo, con costruttori che ancora aspettano di essere pagati (a dieci anni dalla fine dei lavori): altro buco avviato da Casale, passato per la mani di mons. D’Ambrosio e scodellato pari pari in quelle di mons. Tamburrino. I restanti un miliardo e seicento milioni (lira più lira meno) sono finiti nella costruzione Centro Giovanile di via Napoli, un’opera inutilizzata per anni, per lavori mai completati, affidati alla ditta Zammarano, e mancato decreto di agibilità. Ritornando alla frase sibillina di Pelvi ci siamo dati la briga di aprire le pagine relative all’otto per mille di Vita Ecclesiale. E le sorprese sono cominciate a fioccare, come deve essere stato per Bergoglio nei confronti della curia romana. Intanto non si tratta di rendiconti, ma di semplici “impegnative di spesa” (simile a un bilancio preventivo su conti certi), si tratta cioè del futuro utilizzo dei quasi novecento mila euro che ogni anno vengono erogati dalla CEI, alla diocesi di Foggia. Puntualmente alla fine di ogni bilancino, pubblicato nel numero di gennaio-giugno di ogni anno, si legge testualmente: “il “Rendiconto sarà pubblicato nel bollettino ufficiale della Diocesi n°2, secondo semestre”. E puntualmente non è mai stato pubblicato in tutti gli anni presi in esame. Il motivo non è dato sapere. Non sono solo queste le sorprese. Alcune sono diciamo piacevoli: dei novecentomila euro, per legge, circa il 40% sono destinati “per interventi caritativi”, gli altri per “Esigenze di culto e pastorale”. E qui iniziano le sorprese. Spicca al punto “A”, ogni anno, quota fissa, ventimila euro circa, per i “Sussidi liturgici”, per un totale nei sei anni presi in esame della bellezza di sessantottomila euro. Il che vorrà dire che non c’è celebrazione diocesana che non abbia un suo lussuosissimo libretto quattro colori. Altra spesa al punto “B” piuttosto elevata per “la curia diocesana e i centri pastorali”, circa duecentocinquantamila euro l’anno, per un totale di un milione novecentomila euro in sei anni. Una cifra esorbitante, nella quale non è dato sapere se entra anche la casa del Vescovo, le sue utenze e relative suore impegnate, o solo l’impiegato di curia e utenze varie. Sorge spontanea la domanda, prima dell’otto per mille come faceva ad andare avanti la curia diocesana? Non è che l’elefantiaca organizzazione, per giunta non sempre puntuale ed efficace (parola di mons. Pelvi), di questa curia vada di pari passo con la barca di soldi a disposizione? Altro dato al punto “B” riguarda gli euro destinati ai “mezzi di comunicazione sociale a finalità pastorale”: la bellezza di circa trentamila euro l’anno, quota fissa. Immaginiamo si tratti di pubblicazioni come “Voce di Popolo”, a pacchi depositati sugli ultimi banchi delle chiese e altrettanti pacchi di lettere pastorali, decisamente multi colori, anch’esse finite al macero nei cassonetti posti ai lati delle chiese. Fa specie sempre in questa carrellata lo zero fisso per voci che invece avrebbero dovuto avere un qualche sussidio: “Studio e rinnovamento delle forme di pietà popolare”, “parrocchie in condizioni di straordinaria necessità”, “clero anziano e malato”, “cura pastorale degli immigrati presenti in diocesi”, e così via. Intanto non si sa, perché mai pubblicati i rendiconti, che fine effettivamente abbiano fatto questi soldi. Tra l’altro per quanto affermato da mons. Pelvi non c’è traccia di pagamenti di debiti in quegli elenchi, piuttosto generici delle “erogazioni”. Mentre altre cose si sanno per certo, per conoscenza diretta, relative a un sistema piuttosto maldestro adoperato in certi anni diciamo bui di questa diocesi, durante i quali si metteva il milione dell’otto per mille, per sei mesi, bloccato in banca e poi lo si erogava, senza contare gli utili nel frattempo maturati, evidentemente evaporati senza lasciare traccia. Oppure cosa ancora più incredibile, raccontato da chi in quegli anni era un signor nessuno, e poi salito agli onori delle cariche curiali: “tu quanto hai chiesto alla diocesi per lavori in parrocchia? Centomila euro? Te ne dò cinquantamila, solo se mi segni come ricevuta l’intera somma, altrimenti neanche un euro”. Lui ha dichiarato, e gli credo, di non aver mai abboccato a tale ricatto, ma non poteva giurare lo stesso per altri. Insomma un sistema da lestofanti per scopi non sempre chiariti. Intanto restano i debiti di Casale, D’Ambrosio, Tamburrino, il quale nel frattempo ha pensato bene di metterci anche l’incompiuta scuola di teologia sempre in via Napoli, la cui donazione o proprietà finale non è stata mai chiarita, tra chi donava e chi riceveva. E pensiamo abbia fatto benissimo mons. Pelvi a rispedirla al mittente, o a congelarla in attesa di chiarimenti, finora mai giunti, e i lavori sono fermi da un anno quasi, e anche, tra l’altro, per l’infelice ubicazione fuori città di una struttura che serve più agli studenti della provincia che non a quelli del capoluogo.Che sia giunto il tempo di una commissione d’inchiesta che faccia luce una volta per tutte sui debiti dei vescovi precedenti e relativi apparati di curia? Papa Bergoglio l’ha proposta per la curia romana e sappiamo com’è andata a finire. In tutti questi anni, la paura del conflitto ha giocato al “caghe e accummugghie”, o al “citte citte in mizze a chiazze”, o al “tutti sanno ma nessuno parla”. Pelvi promette bene e speriamo che proceda alla maniera di Bergoglio. E’ da anni che aspettiamo fiduciosi.

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